dove si parla della comparsa dell'uomo sulla terra e del complesso processo che ha dato luogo alla sua nascita graduale
55-Salto di qualità
L’evoluzione che prima era esclusivamente di tipo genetico, divenne così anche di tipo culturale; i due tipi di evoluzione presero ad influenzarsi a vicenda, imprimendo una velocità ancora maggiore ai cambiamenti responsabili del progresso del processo evolutivo. Saranno proprio i cambiamenti di tipo culturale a determinare il nuovo salto di qualità che permetterà ad una particolare linea evolutiva, quella dei primati, di imboccare la strada giusta per future ed importanti trasformazioni dell’organismo. Un ulteriore aumento della massa cerebrale e l’acquisizione di nuove trasformazioni anatomiche, una diversa postura, trasformazione delle masse muscolari e scheletriche, con relativi atteggiamenti e modi di rapportarsi con l’ambiente e con i propri simili, Tutti questi processi si verificarono qualche milione di anni anni fa. In una zona abbastanza circoscritta dell’Africa, esisteva una grande varietà biologica. C’erano animali della stessa specie che presentavano spesso diversità in alcuni particolari del loro corpo. A carico degli esseri allora più intelligenti, le scimmie. C’era un particolare tipo di Primati, che già aveva una postura tutta particolare, e diversa dalle altre scimmie esistenti sempre nella zona. Queste scimmie camminavano per lo più a quattro zampe ma lo facevano con difficoltà in quanto avevano degli arti posteriori più lunghi di quelli anteriori. Anche rispetto alle altre scimmie essi erano diversi. Camminando a quattro zampe presentavano la parte posteriore più rialzata rispetto al resto del corpo. Per questo motivo veniva loro naturale alzarsi spesso in piedi e fare dei passi dapprima piccoli, poi sempre più decisi, con il corpo alzato e gli arti anteriori penzoloni.
Da questi esseri, grazie ad alcune trasformazioni radicali dell’ambiente in cui vivevano, non più giungla ma savana, e grazie al fatto che quel nuovo ambiente era loro congeniale, si sviluppò gradualmente un essere nuovo e mai visto prima, l’Uomo che resterà l’ultimo gradino della scala evolutiva fino ad oggi. L’unico essere che sia stato in grado di raggiungere uno stadio così elevato da non temere la concorrenza di altri animali. Questo nuovo essere non avrà rivali. Il suo successo, basato non più sulla semplice forza, come nel caso dei dinosauri, ma sulla intelligenza, sarà planetario ed indiscusso. Le capacità acquisite gli permetteranno di primeggiare nei confronti di tutte le altre specie, di sottometterle e di affermare in maniera sempre crescente la propria superiorità
Da questi esseri, grazie ad alcune trasformazioni radicali dell’ambiente in cui vivevano, non più giungla ma savana, e grazie al fatto che quel nuovo ambiente era loro congeniale, si sviluppò gradualmente un essere nuovo e mai visto prima, l’Uomo che resterà l’ultimo gradino della scala evolutiva fino ad oggi. L’unico essere che sia stato in grado di raggiungere uno stadio così elevato da non temere la concorrenza di altri animali. Questo nuovo essere non avrà rivali. Il suo successo, basato non più sulla semplice forza, come nel caso dei dinosauri, ma sulla intelligenza, sarà planetario ed indiscusso. Le capacità acquisite gli permetteranno di primeggiare nei confronti di tutte le altre specie, di sottometterle e di affermare in maniera sempre crescente la propria superiorità
56-Uomo
La comparsa dell’uomo non è certo avvenuta dall’oggi al domani; c’è stato un lungo periodo di tempo in cui le foreste andavano popolandosi di ominidi, e cioè di esseri che somigliavano molto ai primati, ma che cominciavano ad avere i caratteri somatici del futuro uomo. Solo con la conquista della posizione eretta il nuovo essere aveva qualche chance in più di poter sopravvivere nel suo ambiente. L’espediente che egli usava non era quello della forza o della mole del suo corpo. Egli ora si serviva della sua agilità; correva a due zampe e aveva soprattutto gli arti superiori liberi per portare con sé qualsiasi cosa potesse servirgli per recare offesa ai suoi nemici. Si arrampicava sugli alberi e usava gli arti superiori per prendere, lanciare, afferrare e tante altre azioni che potevano permettergli di combattere e lottare anche senza fuggire, anzi, addirittura inseguendo animali più grandi e più forti di lui.
Con la conquista della stazione eretta, numerose trasformazioni avvennero nel suo corpo, infatti un adattamento di questo tipo, che non deve essere avvenuto in tempi brevi, richiese una serie di trasformazioni combinate, non solo del piede, ma di tutta l’architettura ossea. La caviglia, l’anca, il bacino, le vertebre, presero una conformazione idonea a permettere il nuovo (e alquanto buffo) sistema di procedere; il cranio aveva ancora caratteristiche scimmiesche, ed anche la sua capacità cerebrale era molto inferiore alla nostra. Da ciò si desume che questo essere non si sia alzato per poter avere le mani libere e poter usare utensili, in quanto la sua intelligenza era ancora molto primitiva. Questa sarà una qualità che, acquisirà successivamente. Questo suo nuovo modo di procedere ebbe influenza anche su notevoli modificazioni corporee a carico dei muscoli, delle articolazioni, del contenimento degli organi, del pompaggio del sangue al cervello, del sistema circolatorio e così via. Basti pensare al ridimensionamento dei muscoli del collo e quindi delle creste ossee delle vertebre cervicali che non avevano più il compito di sostenere la testa che, ormai si era spostata per rimanere come in equilibrio sulla colonna vertebrale. Basti pensare alla trasformazione del bacino, diventato, appunto, come una bacinella per poter contenere i visceri che avevano cominciato a pesare a causa della forza di gravità. Basti pensare al piede che deve sopportare tutto il peso del corpo e dove l’alluce, non avendo più funzione prensile, come nelle scimmie, si è riunito alle altre dita per poter assumere la funzione di spinta nella marcia e nella corsa. E’ evidente che tutti questi cambiamenti non possono essersi prodotti all’improvviso. Non è possibile, cioè, che, per una mutazione casuale, sia nato un individuo che, invece di camminare a quattro zampe abbia cominciato a camminare eretto.
Con la conquista della stazione eretta, numerose trasformazioni avvennero nel suo corpo, infatti un adattamento di questo tipo, che non deve essere avvenuto in tempi brevi, richiese una serie di trasformazioni combinate, non solo del piede, ma di tutta l’architettura ossea. La caviglia, l’anca, il bacino, le vertebre, presero una conformazione idonea a permettere il nuovo (e alquanto buffo) sistema di procedere; il cranio aveva ancora caratteristiche scimmiesche, ed anche la sua capacità cerebrale era molto inferiore alla nostra. Da ciò si desume che questo essere non si sia alzato per poter avere le mani libere e poter usare utensili, in quanto la sua intelligenza era ancora molto primitiva. Questa sarà una qualità che, acquisirà successivamente. Questo suo nuovo modo di procedere ebbe influenza anche su notevoli modificazioni corporee a carico dei muscoli, delle articolazioni, del contenimento degli organi, del pompaggio del sangue al cervello, del sistema circolatorio e così via. Basti pensare al ridimensionamento dei muscoli del collo e quindi delle creste ossee delle vertebre cervicali che non avevano più il compito di sostenere la testa che, ormai si era spostata per rimanere come in equilibrio sulla colonna vertebrale. Basti pensare alla trasformazione del bacino, diventato, appunto, come una bacinella per poter contenere i visceri che avevano cominciato a pesare a causa della forza di gravità. Basti pensare al piede che deve sopportare tutto il peso del corpo e dove l’alluce, non avendo più funzione prensile, come nelle scimmie, si è riunito alle altre dita per poter assumere la funzione di spinta nella marcia e nella corsa. E’ evidente che tutti questi cambiamenti non possono essersi prodotti all’improvviso. Non è possibile, cioè, che, per una mutazione casuale, sia nato un individuo che, invece di camminare a quattro zampe abbia cominciato a camminare eretto.
Praticamente si tratta, di vere e proprie mutazioni genetiche che si sono accumulate per creare nel tempo un insieme di strutture armoniche e funzionali. Quello che rimane ancora oscuro è il motivo per cui questi esseri hanno subito una trasformazione così radicale; non si sa ancora quale sia stato il movente di un tale cambiamento. E’escluso che ciò possa essere avvenuto per dare loro la possibilità di usare le mani per manovrare gli arnesi. Il suo cervello era ancora troppo piccolo per inventarsi una rivoluzione culturale di tale portata. Questa semmai sarà stata una conseguenza, e non la causa, del bipedismo. Visto poi che il bipedismo è chiaramente poco conveniente, dal punto di vista energetico, rispetto al quadrupedismo, deve, per forza esserci stato qualche altro tipo di vantaggio, a proposito del quale le teorie avanzate sono molteplici ma difficilmente dimostrabili. Siamo nella savana africana, 2 milioni di anni fa. Un essere piccolo e dal corpo massiccio, cranio appiattito, faccia lunga e prominente, orbite grandi e rotonde, naso largo, dentatura voluminosa, si aggira alla ricerca di cibo. L’aspetto è brutale, il corpo vigoroso e pesante, la testa ossuta, le mascelle robuste. Esiste ancora una supremazia delle funzioni puramente vegetative e bestiali su quelle cerebrali. Egli non è solo, vive in gruppo, passa la notte sopra gli alberi dove si sente più al sicuro; all’alba, afferrandosi ai rami, comincia una lenta e circospetta discesa verso il terreno.
Il gruppo di ominidi si muove circospetto, spostandosi agilmente su due piedi, guardandosi continuamente intorno. Essi comunicano tra loro con brevi messaggi che vanno da un individuo all’altro. Non è un linguaggio articolato, ma vi è già un coordinamento nei suoni. La pelle di questi ominidi è di colore scuro, per proteggersi dal sole della savana; il viso, come l’intero corpo, non appare coperto di peli ma è piuttosto glabro. A poca distanza dagli alberi c’è un lago al quale si avvicinano per bere. Alcuni lo fanno chinandosi ed immergendo le labbra nell’acqua, altri usano le mani come coppette. Tornati sotto gli alberi, prendono a raccogliere bacche dagli arbusti, frutti e tuberi; con una mano tengono stretto al petto il raccolto, con l’altra raccolgono il cibo. Alcuni si allontanano dal gruppo e vanno alla ricerca di altro cibo; dopo poco si imbattono in una carcassa di animale ucciso ma già quasi completamente spolpato. Ma non si perdono d’animo: cominciano a spaccarne le ossa per estrarne il midollo. Usano delle pietre che precedentemente hanno scheggiato ottenendo un bordo tagliente. La mano di questi ominidi é ancora primitiva, però le sue ossa rivelano una presa potente, anche se non precisa. Lo sviluppo successivo della massa cerebrale, consentirà una innervazione e quindi una elaborazione dei movimenti più ricca. Ma ecco un’altra carcassa, alcune iene e sciacalli stanno cominciando a farla a pezzi. Con urla, bastoni agitati in aria, lancio di sassi, mettono in fuga gli altri animali; eccitati incominciano a strappare pezzi di carne e a tagliare tendini servendosi di schegge taglienti ricavate da pietre. La preda viene smembrata e in parte mangiata, ma soprattutto si portano via i pezzi di carne per il resto del gruppo.
Il gruppo di ominidi si muove circospetto, spostandosi agilmente su due piedi, guardandosi continuamente intorno. Essi comunicano tra loro con brevi messaggi che vanno da un individuo all’altro. Non è un linguaggio articolato, ma vi è già un coordinamento nei suoni. La pelle di questi ominidi è di colore scuro, per proteggersi dal sole della savana; il viso, come l’intero corpo, non appare coperto di peli ma è piuttosto glabro. A poca distanza dagli alberi c’è un lago al quale si avvicinano per bere. Alcuni lo fanno chinandosi ed immergendo le labbra nell’acqua, altri usano le mani come coppette. Tornati sotto gli alberi, prendono a raccogliere bacche dagli arbusti, frutti e tuberi; con una mano tengono stretto al petto il raccolto, con l’altra raccolgono il cibo. Alcuni si allontanano dal gruppo e vanno alla ricerca di altro cibo; dopo poco si imbattono in una carcassa di animale ucciso ma già quasi completamente spolpato. Ma non si perdono d’animo: cominciano a spaccarne le ossa per estrarne il midollo. Usano delle pietre che precedentemente hanno scheggiato ottenendo un bordo tagliente. La mano di questi ominidi é ancora primitiva, però le sue ossa rivelano una presa potente, anche se non precisa. Lo sviluppo successivo della massa cerebrale, consentirà una innervazione e quindi una elaborazione dei movimenti più ricca. Ma ecco un’altra carcassa, alcune iene e sciacalli stanno cominciando a farla a pezzi. Con urla, bastoni agitati in aria, lancio di sassi, mettono in fuga gli altri animali; eccitati incominciano a strappare pezzi di carne e a tagliare tendini servendosi di schegge taglienti ricavate da pietre. La preda viene smembrata e in parte mangiata, ma soprattutto si portano via i pezzi di carne per il resto del gruppo.
58-Giornata tipo
Seguiti a distanza dalle iene gli ominidi si incamminano con carne, ossa, qualche tubero e poche uova tra le braccia. Quando avviene il ricongiungimento con il resto del gruppo sono tutti molto eccitati alla vista di quella caccia così fortunata. Urla, grida e scambio di messaggi gutturali. Tutto il cibo raccolto viene spartito tra i vari componenti del gruppo; questa è una cosa inedita per i primati e spiega uno dei segreti del successo di questi ominidi, quello appunto della cooperazione. Quando il sole sta per tramontare e il cielo si tinge di rosso, il gruppo si avvia a risalire sugli alberi e pian piano si affievolisce quel vocio che ha accompagnato ogni attività di questa arcaica umanità. Forse tra qualche giorno cambieranno zona alla ricerca di nuove fonti di cibo e nuovi alberi su cui dormire. Una giornata tipo di un gruppo di ominidi di 2 milioni di anni fa ci ha mostrato come quello strano scimmione avesse in realtà gran parte delle caratteristiche della specie Homo; la sua vita in comune, il suo nuovo modo di raccogliere il cibo e, soprattutto la cooperazione con gli altri elementi del gruppo, forse ce lo fanno sentire più vicino a noi. Sono passati ormai 2 milioni di anni dopo l’emergere del bipedismo e solo ora quello strano scimmione comincia a prendere sembianze e caratteristiche più vicine a quelle dell’uomo moderno; solo ora la lenta trasformazione delle mani, gli permette di attuare la prima importante rivoluzione tecnologica della Storia. L’uso degli strumenti, dopo averli egli stesso creati, permise loro di sviluppare ulteriormente l’ intelligenza e di cominciare ad agire sull’ambiente. Soprattutto l’uso della pietra voleva dire spaccare ad esempio le ossa degli animali senza aver bisogno di mascelle potenti; voleva dire scavare nel terreno, per estrarre radici e tuberi, senza aver bisogno di unghie possenti. E’ a questo punto che cominciano le pressioni selettive basate non più sulle qualità fisiche ma su quelle cerebrali.
Non contano più la forza e la velocità, ma contano sempre più l’invenzione, il linguaggio e il comportamento. I caratteri del suo corpo stavano diventando vincenti e permettevano al nostro uomo una sopravvivenza più duratura perché alla agilità si sommava l’abilità. Lavorava di fino con quelle mani, creava oggetti, plasmava la creta, scheggiava i sassi battendoli l’uno contro l’altro, si costruiva tutto quello di cui aveva bisogno per difendersi e per offendere. Aveva, insomma diverse armi per procurarsi il cibo e quindi per vivere. Tutto ciò non faceva altro che aguzzare il suo “ingegno” se così si può chiamare. E’ qui che si inserisce un nuovo elemento nella storia evolutiva dell’Uomo. Egli capì che sarebbe stato più facile sopravvivere stando in un gruppo, piuttosto che stando da solo. E’ questa la fase in cui l’Uomo si diversifica totalmente dagli animali, con la graduale formazione di una coscienza. Man mano che il suo cervello aumenta la complessità delle interconnessioni neuronali, sotto l’impulso degli stimoli derivanti dalla sua lotta per la sopravvivenza, egli acquisisce una coscienza di sè, della propria esistenza, di quello che andava facendo.
Non contano più la forza e la velocità, ma contano sempre più l’invenzione, il linguaggio e il comportamento. I caratteri del suo corpo stavano diventando vincenti e permettevano al nostro uomo una sopravvivenza più duratura perché alla agilità si sommava l’abilità. Lavorava di fino con quelle mani, creava oggetti, plasmava la creta, scheggiava i sassi battendoli l’uno contro l’altro, si costruiva tutto quello di cui aveva bisogno per difendersi e per offendere. Aveva, insomma diverse armi per procurarsi il cibo e quindi per vivere. Tutto ciò non faceva altro che aguzzare il suo “ingegno” se così si può chiamare. E’ qui che si inserisce un nuovo elemento nella storia evolutiva dell’Uomo. Egli capì che sarebbe stato più facile sopravvivere stando in un gruppo, piuttosto che stando da solo. E’ questa la fase in cui l’Uomo si diversifica totalmente dagli animali, con la graduale formazione di una coscienza. Man mano che il suo cervello aumenta la complessità delle interconnessioni neuronali, sotto l’impulso degli stimoli derivanti dalla sua lotta per la sopravvivenza, egli acquisisce una coscienza di sè, della propria esistenza, di quello che andava facendo.
Perché proprio lì
Vi siete mai chiesti perché, sui libri di testo, la Storia parte sempre dallo stesso punto, da quella regione detta Mesopotamia, o terra tra due fiumi? Tanto grande è il mondo eppure la storia comincia sempre là, dove oggi c’è il martoriato Iraq, con Sumeri, Assiri, Babilonesi e prosegue poi con gli Egiziani fino ad arrivare ai Greci ed i Romani?. Perché tutto è iniziato da li? Questo mi sembra che i libri non lo hanno mai detto e continuano a non dirlo. Danno sempre per scontato che quella sia stata la culla delle prime civiltà, e poco o nulla dicono sul come e perchè l’uomo si sia trovato da quelle parti. Due notizie sull’uomo delle caverne e delle palafitte ed è tutto. Diecimila anni fa, praticamente ieri, un uomo che sostanzialmente era molto simile a noi ed era già in grado di organizzarsi in società abbastanza complesse e funzionali si trovava da quelle parti e fece quello che fece. In realtà quest’uomo si trovava da quelle parti perché i suoi antenati venivano dalla vicina Africa. Ma la domanda è sempre la stessa. Perché proprio da lì e non da un’altra zona? Perché proprio dall’Africa? La risposta viene da sé se ci muniamo di un mappamondo dove siano ben disegnati mari e continenti. Da esso si può capire che era quello il luogo più adatto dove i mammiferi, che si trovavano allora sul gradino più alto della scala evolutiva, avrebbero potuto dare origine a delle forme di vita ancora più evolute. Dunque sembra che sia tutta una questione di probabilità. Semplicemente, il posto dove è nato l’uomo era quello dove era più probabile che nascesse. Andando, infatti, dai poli verso l’equatore, cambia il clima che da freddo secco diventa caldo umido. Con il clima ovviamente cambia anche la vegetazione. Dove fa freddo ci sono per lo più la tundra e la steppa, mentre all’equatore ci sono le foreste. E comunque dove c’è più vegetazione ci sono più erbivori e dove ci sono più erbivori c’è più opportunità di cibo per i carnivori. Insomma in pochi chilometri quadrati ai tropici c’è più vita che in tutta la tundra e la steppa messa insieme. Era logico che dove c’era più possibilità di vita ci fosse anche più possibilità che si evolvesse la specie umana. Tra i mammiferi che allora popolavano la terra e in special modo quella fascia a cavallo dell’equatore, c’erano le scimmie, strani esseri, diversi da molti altri mammiferi e dotate di una certa intelligenza, che finiva per sopperire alla loro scarsa forza. Viveva in gruppi non molto numerosi che erano regolati da una certa organizzazione societaria. Le varietà scimmiesche erano tantissime, ciascuna con delle piccole variazioni a carico del corpo. Per chi ha presente il meccanismo che sta alla base della evoluzione è proprio la grande varietà che permette alla evoluzione stessa di andare avanti. C’era un tipo di scimmia, tra le tante, che aveva un particolare nella loro conformazione che risultò vincente, avevano, cioè, gli arti inferiori molto più lunghi rispetto a quelli superiori. Un errore di copia del patrimonio genetico, detto mutazione che però risultò vincente. Era chiaro, infatti, che con quella differenza in lunghezza tra arti anteriori e arti posteriori a queste scimmie risultasse difficile camminare a quattro zampe, come tutte le altre scimmie e tutti gli altri mammiferi.
Ma questo particolare non sarebbe mai stato sufficiente per fare il grande balzo in avanti. Anche per questo passaggio evolutivo ha avuto grande importanza l’ambiente. Allora siamo in Africa due milioni di anni fa, e nel periodo in cui le scimmie si evolvono in omimidi si stanno verificando tutta una serie di modifiche ambientali. Il clima in quel punto sta cambiando, si asciuga e diventa più arido. In precedenza c’era stata una grande espansione delle foreste tropicali, grazie al clima umido. Ora questa espansione si arresta e le foreste si frammentano, lasciando qua e là il posto alle praterie erbose. Tutto ciò avviene grazie al fatto che la crosta terrestre era in precedenza sprofondata, nel corso di un tempo lunghissimo. Tale sprofondamento, compensato ai margini della scarpata da innalzamento di alte montagne, iniziò 35 milioni di anni fa. Il risultato è oggi sotto gli occhi di chiunque sì reca in Africa, anzi è ancora in atto. Nel fondo di questa enorme scarpata o depressione che si estende per circa 6000 km in direzione nord-sud e che varia in larghezza dai 30 ai 100 km e in profondità da qualche centinaio a parecchie migliaia di metri, il clima cambiò lentamente e dalla giungla si passò alla savana. Non più foreste ma praterie erbose. I Primati, cioè quelle scimmie che vivevano sugli alberi e si spostavano volando di ramo in ramo, dovevano tentare di sopravvivere in questo nuovo ambiente, ma non ce la fecero e rimasero ai margini di questa enorme zona. Più fortunate invece furono quelle scimmie di cui abbiamo detto e che avevano una postura saltuariamente eretta. All’inizio però questa non fu una mossa vincente. Siamo in una epoca che va dai sei milioni di anni fa a un milione e mezzo di anni fa. A questo periodo appartengono tutta una serie di reperti ritrovati in varie zone dell’Africa che dimostrano l’esistenza di animali che camminavano su due piedi. Esseri che avevano tutti come origine quella comune dei primati ma che gradualmente si sono estinti, proprio perché erano più deboli di altri animali. Più lenti nella corsa rispetto a quelli capaci di usare le quattro zampe, soccombevano più facilmente. Il problema era quello di dare una occupazione a quelle due zampe anteriori che in alcuni animali, sempre cugini dei Primati, erano fatti in modo tale da essere inutili per la corsa. Questo problema si poteva risolvere solo se quegli animali, non più scimmie e non ancora uomini fossero riusciti a trovare il modo di utilizzare quei due arti ormai quasi liberi dalla deambulazione.
Ora, già i cugini Primati, erano abbastanza ben forniti in quanto a cervello. Esse avevano, ed hanno tutt’ora, un cervello che pesava tra i trecento e i quattrocento grammi. Per la prima volta un animale di taglia medio piccola aveva un cervello così grande. I primi ominidi, tra cui i più importanti, detti Australopitechi, con una stazione pseudo eretta e una andatura un poco goffa, ma già con un cervello da cinquecento grammi. Era quindi solo questione di tempo e il cervello di questi esseri avrebbe trovato la soluzione giusta per garantirsi la sopravvivenza. Un fatto però è certo che questi esseri, contrariamente a quanto si credeva in passato, non si sono alzati in piedi per poter avere le mani libere da usare a modo loro. Hanno invece cominciato a fare delle cose con le mani, a lanciare pietre e via dicendo perché avevano già le mani libere, e le mani le avevano libere perché camminavano in piedi. Nella Savana quell’essere cominciava la sua lenta trasformazione verso forme più evolute. Intanto sbarcava il lunario cercando di sopravvivere, si riproduceva e, come facevano gli animali prima di lui, si spostava in continuazione alla ricerca di posti più sicuri e comodi dove sostare. Poiché le trasformazioni che avvenivano in lui erano vincenti e le sue caratteristiche gli permettevano di primeggiare nella rivalità con gli altri animali, il numero di questi esseri aumentava a dismisura ed era logico che essi popolassero territori sempre più lontani. In poche parole, passato un primo momento in cui fuggire con due zampe davanti ad un predatore che correva con quattro non era certo vincente, venne un secondo momento in cui questi esseri a due zampe impararono grazie ad un cervello più voluminoso, cosa fare con le mani libere dalla corsa. E le parti si invertirono. Il nostro uomo da preda divenne predatore. Sembra poco, ma le mani potevano servire all’uomo per scacciare dei predatori, lanciando pietre o bastoni, per tramortire una preda veloce, ma sorpresa a brucare l’erba, colpendola al capo prima che fosse in grado di fuggire, e popi queste ex scimmie non ancora uomini cacciavano in gruppo ed era tutta un’altra cosa. Quelle mani libere, poi, avrebbero fatto tante altre cose, stimolate da un cervello ormai in rapida evoluzione. Ma tutto questo succedeva mentre al seguito di mandrie di animali o lungo il corso dei fiumi, gli ominidi e poi gli uomini si spostavano e risalivano il continente alla ricerca di nuovi territori e nuive prede. Ma, prima di allontanarci dal posto in cui questa storia è iniziata, fotografiamolo questo posto che ha visto il lento e graduale atto di nascita dell’uomo. I paleontologi sono oggi sicuri nell’affermare, in quanto sono state fatte scoperte che non lasciano adito a dubbi, che i primi ominidi deambulanti con due piedi siano vissuti circa 4 milioni di anni fa in una zona a sud nel parco del Serengeti in Tanzania nel cuore della Savana Africana. Infatti nel 1978 alcuni paleontologi scoprirono nel terreno, le impronte fossili di esseri bipedi del tutto simili a quelle dell’uomo di oggi. Siamo a Laetoli e queste impronte, arrivate fino a noi perché impresse su un alto strato di cenere vulcanica e successivamente ricoperte da altra cenere, sono importanti in quanto ci mostrano che a quel tempo esistevano già esseri perfettamente bipedi. Da queste impronte si deduce che il modo di camminare di questi ominidi era del tutto simile al nostro, con gli stessi punti di appoggio e l’arco plantare sollevato, l’alluce allineato e non divaricato. Dalla lunghezza della falcata dei passi e dalla profondità delle orme stesse, se ne deduce che si tratta di due ominidi di 130 cm di altezza che procedevano l’uno dietro l’altro. Fu così che questi ominidi uscirono dalla Savana e si dispersero verso terre nuove e ignote. Nel compiere queste migrazioni egli si serviva soprattutto dei corsi d’acqua; infatti era soprattutto intorno alle zone bagnate da un corso d’acqua che viveva perché da questa era facile trovare sostentamento. Camminando lungo i fiumi dell’Africa era logico che prima o poi giungessero sulle rive di quella immensa massa d’acqua che è il Mediterraneo. Allora l’uomo non sapeva ancora andare per mare e per questo si sparpagliò lungo le rive migrando soprattutto verso destra andando a popolare alcune zone dell’Asia. Alcuni risalirono, a sinistra i territori che oggi sono della Spagna e della Francia e così via verso il Nord.
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C’è da dire però che, certamente, il Mediterraneo di quell’epoca non era come quello di oggi. I fondali in alcuni punti non erano assai profondi come oggi e le coste non avevano lo stesso disegno odierno. La presenza lungo le coste dello Ionio e della Sicilia di insediamenti preistorici (Matera, Ispica)possono farci intuire che non sia stato tanto difficile per i nostri uomini attraversare il mediterraneo di allora. Le migrazioni, così imponenti, erano consentite dal fatto che essendo un essere vincente, poteva aumentare di numero in pochissimo tempo. L’Europa e l’Asia erano ormai popolate, o per lo meno lo erano i punti che erano più accessibili e permettevano una più facile sopravvivenza. Era diventato il padrone di buona parte della terra, ma non lo sapeva; ogni uomo viveva nel suo piccolo gruppo e non aveva coscienza della provenienza dei suoi antenati. Durante queste migrazioni l’uomo si evolveva, si adattava agli ambienti che andava occupando e, dovunque, sottometteva ogni altro animale. Scopriva anche che, dove era freddo, bastava coprirsi con la pelle degli animali uccisi, per riscaldarsi. Scopriva che per ripararsi dalle intemperie, poteva costruirsi un rifugio. Ogni cosa che scopriva era un passo avanti verso il futuro. E’ necessario a questo punto spiegare come avvenivano queste migrazioni che, nel corso dei millenni, hanno portato l’uomo ad estendere la sua ingombrante presenza su tutte le terre emerse. Questi piccoli spostamenti infatti, sommati per l’enorme numero di generazioni, risultavano essere molto consistenti. Se è vero che, per esempio, dal lago Turkana fino ad uno dei siti più antichi di Uomo eretto in Cina, vi sono quattordici mila chilometri da percorrere, è anche vero che, facendo solo cento metri al giorno, quella distanza si può percorrere in cinquecento anni. E’ certamente un discorso teorico, ma se si tiene conto che tra l’Uomo eretto africano e quello asiatico ci sono ottocento mila anni di differenza, si vede bene come ci sia stato tutto il tempo perché questa inconsapevole conquista del globo potesse realizzarsi. Ma perché l’Uomo eretto si sposta? visto che lo fa senza saperlo, senza un preciso scopo, né per andare alla ricerca di nuovi mondi? Tutto era legato alla casualità, alla ricerca di cibo e all’inseguimento di branchi di animali che si muovevano a causa di variazioni climatiche. All’interno di quei gruppi di ominidi che andavano divenendo sempre più numerosi, si potevano generare delle conflittualità, per cui la caccia diventava più difficile e quindi più difficile reperire cibo. Alcuni del gruppo capivano, allora, che era necessario allontanarsi, per trovare posti meno affollati dove la caccia e la ricerca del cibo non fosse ostacolata. Sebbene fosse necessario stare in compagnia per poter meglio sopravvivere, il numero di elementi del gruppo era necessario che fosse limitato in modo che le bocche da sfamare non fossero troppe. Tutte queste decisioni che gli ominidi erano in grado di prendere durante i loro spostamenti, erano dovute senz’altro al fatto che il loro cervello stava diventando via via sempre più complesso. E’ la prima rudimentale forma di intelligenza, un tantino diversa da quella degli animali, arricchita da quella capacità di essere autonomo dal gruppo e dall’ambiente, se le condizioni lo richiedono. La continua comunicazione di esperienze e la migliore organizzazione del gruppo consentivano all’uomo di prendere delle decisioni corali. Ormai da tempo l’uomo utilizzava il suo cervello per la sopravvivenza inventando e creando quegli strumenti necessari per cacciare, mettendo in atto tutte quelle astuzie e strategie necessarie per avere la meglio nei confronti di qualsiasi animale senza esserne sopraffatto. In questa fase in cui la lotta per la sopravvivenza mette a dura prova le capacità dei singoli e del gruppo l’uomo non fa altro che utilizzare nella maniera più conveniente, la massa cerebrale, la quale aveva conosciuto un notevole aumento fin da un’epoca remota che va da 700 a 230 milioni di anni fa. Ma non era sufficiente avere una massa cerebrale notevole. Era soprattutto in gioco una questione di qualità, di proporzioni tra varie zone del cervello. C’era poi, un altro elemento che favoriva il prevalere di questi ominidi rispetto agli altri mammiferi. Semplicemente gli ominidi che avevano un pò più di intelligenza riuscivano a vivere magari qualche anno in più: ciò voleva dire procreare qualche figlio in più, o proteggere più a lungo la prole e quindi aumentare in proporzione il numero dei discendenti. In definitiva questo significava rendere vincente un carattere genetico. Questi nuovi esseri avevano pertanto delle nuove qualità mentali, tutte racchiuse nei 2 soli millimetri di spessore della corteccia. Questo avveniva 3 o 4 milioni di anni fa, con la nascita del bipedismo.
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Un’altra trasformazione importante che ha portato poi alla acquisizione di un’altra arma è quella avvenuta a carico delle zone cerebrali sedi della formazione del linguaggio. Lo sviluppo di diverse zone cerebrali in vari stadi evolutivi ha determinato la formazione di un sistema in grado di presiedere la funzione del parlare. Questa funzione comprende diverse fasi che vanno dall’intelligenza all’emotività, dalla capacità di codificare e di trasformare le parole in impulsi motori all’adattamento meccanico della laringe e delle corde vocali. Così come per arrivare alla stazione eretta è stata necessaria la graduale trasformazione di una serie di parti del corpo, analogamente per arrivare al linguaggio è stata necessaria una graduale trasformazione di una serie di parti del cervello e di taluni sistemi collegati, come appunto l’apparato vocale. Anche il linguaggio fu una carta vincente per l’evoluzione dell’uomo; carta che in questa fase poteva utilizzare per comunicare, sia pure in maniera embrionale e abbozzata, con gli altri elementi del gruppo durante le battute di caccia. Potersi parlare, capire le intenzioni dell’altro, significava mettere in pratica quelle strategie necessarie per una caccia più proficua. L’utilizzo di questa tecnica di comunicazione era, pertanto, alla base della cooperazione durante la caccia che, per i nostri ominidi era l’occupazione principale e fonte di sostentamento, specie se si trattava di tendere trappole a grossi animali o ad animali che vivevano in branchi. Nel giro di tre milioni di anni, la nostra storia comincia a cambiare scenario. Dopo questo lungo periodo di tempo, infatti, periodo fatto di continue e inconsapevoli migrazioni, cominciamo a vedere i primi uomini in Europa e in Asia. Qui gli ominidi, sotto l’influenza del clima più freddo, andavano assumendo connotati diversi da quelli dei loro progenitori africani. La pelle diventava più chiara per una minore necessità di difendersi dai raggi del sole che qui erano meno forti. Questi tre milioni di anni hanno profondamente modificato in termini di complessità il cervello; l’intelligenza è diventata più viva, mentre profonde modifiche erano avvenute a carico della mano che, dal momento che era libera dall’impegno della deambulazione, poteva assumere le caratteristiche necessarie per assolvere ai suoi nuovi compiti. Tutto ciò permise a quegli esseri ancora molto scimmieschi, che vivevano sugli alberi, di diventare sempre più abili nel lavorare la pietra, nel cacciare, nel domesticare il fuoco, organizzando in modo sempre più complesso la loro vita sociale e di gruppo. Altro passo avanti è dato dal passaggio da un linguaggio di tipo quasi scimmiesco fatto di suoni, ad uno più articolato e raffinato, capace di esprimere concetti, astrazioni e cultura. Ormai il nuovo essere aveva colonizzato in un tempo enorme (tre milioni di anni) quasi tutta l’Asia e l’Europa. raggiungendo un livello abbastanza elevato di cultura e organizzazione sociale. Era questo l’Homo sapiens, l’essere più intelligente della terra. Questa trasformazione verso uomini sempre più evoluti avviene contemporaneamente tra 400 mila e 100 mila anni fa in Africa, dove, come vedremo, darà origine all’uomo moderno, e in Europa dove assistiamo all’ascesa, al trionfo e alla scomparsa dell’uomo di Neandertal. Quest’uomo nuovo, abbastanza simile per caratteristiche somatiche all’uomo moderno, e molto lontano da quello scimmione che viveva sugli alberi, possedeva già un notevole volume cerebrale ed era quindi abbastanza evoluto. Addirittura quest’uomo, non ancora sapiens, era molto intelligente e ciò era dovuto al fatto che tra i 100 mila e i 35 mila anni fa in Europa c’erano condizioni climatiche proibitive in quanto era tempo di glaciazione. Le difficili condizioni fecero, probabilmente, aguzzare l’ingegno agli uomini, alla perenne ricerca di continue soluzioni per sopravvivere in un ambiente tanto ostile. Le glaciazioni, insomma, sarebbero diventate un fattore di accelerazione evolutiva.
Circa 20 mila anni fa in Europa avvenne, il cambio della guardia con il Sapiens sapiens, uomo del tutto simile a noi per caratteristiche somatiche e per potenziale intellettivo. La sostanziale differenza stava nel fatto che fino ad allora l’uomo sapeva, mentre il sapiens sapiens sapeva di sapere. Aveva acquisito cioè una coscienza. Questo nuovo essere, molto simile a noi, probabilmente era gia presente in Africa 100 o 130 mila anni fa, ma circa 50 mila anni fa seguendo le orme dei suoi antenati dall’Africa si portò in Medio Oriente e quindi in Asia (40 mila anni fa) dalla quale successivamente si diffuse in Europa soppiantando il Neandertal. Sempre dall’Asia raggiunse 30 mila anni fa l’Australia e le terre dell’Estremo Oriente, mentre 12 mila anni fa riuscì a portarsi in Alaska, dalla quale dilagò nell’attuale Canada, Stati Uniti e America centrale e del Sud. Quando la conquista del globo era avvenuta, i primi insediamenti di uomini del tutto simili a noi, dediti ormai non più solo alla caccia ma anche alla agricoltura e all’allevamento del bestiame si erano formati in Mesopotamia. Qui, in questa che era la prima regione fertile incontrata nel corso degli spostamenti, mentre nel resto del globo si continuava a cacciare solamente, per poter sopravvivere, alcuni uomini pensarono che invece di stare sempre alla ricerca del cibo, forse era più facile crearselo da sé. L’agricoltura era proprio questo e solo una mente capace poteva capirlo. Come anche solo un tale tipo di cervello poteva capire che domesticare alcuni animale conosciuti nel corso delle battute di caccia poteva essere utile per ottenere sostentamento. Ma per poter fare tutto ciò era necessario porre fine al peregrinare, al nomadismo, diventare stabili e sedentari creando ripari e villaggi necessari per le riserve di cibo e per ripararsi. Ne derivava una maggiore sicurezza e la nascita di una vita sociale. Altrove nel globo, più tardi nel tempo, sarebbe successo lo stesso, basta pensare alla civiltà Cinese, i Maya, gli Atzechi, che sorsero in siti lontanissimi da quello in cui sorsero le prime civiltà Queste civiltà ebbero la loro sorte, ma indubbiamente la storia dell’uomo comincia proprio in Mesopotamia.