dove si parla dell'Homo sapiens che se ne va in giro per il mondo e, mentre conquista sempre nuovi territori, trasforma se stesso
59-Primi passi
I paleontologi sono oggi sicuri nell’affermare, in quanto sono state fatte scoperte che non lasciano adito a dubbi, che i primi ominidi deambulanti con due piedi fossero vissuti circa 4 milioni di anni fa in una zona a sud nel parco del Serengeti in Tanzania nel cuore della Savana Africana. Era il 1978 quando alcuni paleontologi scoprirono nel terreno, le impronte fossili di esseri bipedi del tutto simili a quelle dell’uomo di oggi. Siamo a Laetoli e queste impronte, arrivate fino a noi perché impresse su un alto strato di cenere vulcanica e successivamente ricoperte da altra cenere, sono importanti in quanto ci mostrano che a quel tempo esistevano già esseri perfettamente bipedi. Da queste impronte si deduce che il modo di camminare di questi ominidi era del tutto simile al nostro, con gli stessi punti di appoggio e l’arco plantare sollevato, l’alluce allineato e non divaricato. Dalla lunghezza della falcata dei passi e dalla profondità delle orme stesse, se ne deduce che si tratta di due ominidi di 130 cm di altezza che procedevano l’uno dietro l’altro.
Da altri ritrovamenti fatti in zona si capisce che , se lo sviluppo dell’apparato locomotore era già molto avanzato, non altrettanto si può dire del cranio e quindi della massa cerebrale. Sembra infatti che gli ominidi di Laetoli avessero un cranio molto scimmiesco e con un volume cerebrale molto piccolo, se paragonato al nostro. Siamo comunque appena all’inizio della nostra storia e sembra proprio che sia questo il luogo dove il nostro uomo ha mosso i primi passi. Nella Savana quell’essere cominciava la sua lenta trasformazione verso forme più evolute. Intanto sbarcava il lunario cercando di sopravvivere, si riproduceva e, come facevano gli animali prima di lui, si spostava in continuazione alla ricerca di posti più sicuri e comodi dove sostare. Poiché le trasformazioni che avvenivano in lui erano vincenti e le sue caratteristiche gli permettevano di primeggiare nella rivalità con gli altri animali, il numero di questi esseri aumentava a dismisura ed era logico che essi popolassero territori sempre più lontani. Uscirono dalla Savana e si dispersero verso terre nuove e ignote. Nel compiere queste migrazioni egli si serviva soprattutto dei corsi d’acqua; infatti era soprattutto intorno alle zone bagnate da un corso d’acqua che viveva perché da questa era facile trovare sostentamento. Camminando lungo i fiumi dell’Africa era logico che prima o poi giungessero sulle rive di quella immensa massa d’acqua che è il Mediterraneo. Allora l’uomo non sapeva ancora andare per mare e per questo si sparpagliò lungo le rive migrando soprattutto verso destra andando a popolare alcune zone dell’Asia. Alcuni risalirono, a sinistra i territori che oggi sono della Spagna e della Francia e così via verso il Nord. Le migrazioni, così imponenti, erano consentite dal fatto che essendo un essere vincente, poteva aumentare di numero in pochissimo tempo.
60-Migranti
L’Europa e l’Asia erano ormai popolate, o per lo meno lo erano i punti che erano più accessibili e permettevano una più facile sopravvivenza. Era diventato il padrone di buona parte della terra, ma non lo sapeva; ogni uomo viveva nel suo piccolo gruppo e non aveva coscienza della provenienza dei suoi antenati. Durante queste migrazioni l’uomo si evolveva, si adattava agli ambienti che andava occupando e, dovunque, sottometteva ogni altro animale. Scopriva anche che, dove era freddo, bastava coprirsi con la pelle degli animali uccisi, per riscaldarsi. Scopriva che per ripararsi dalle intemperie, poteva costruirsi un rifugio. Ogni cosa che scopriva era un passo avanti verso il futuro. E’ necessario a questo punto spiegare come avvenivano queste migrazioni che, nel corso dei millenni, hanno portato l’uomo ad estendere la sua ingombrante presenza su tutte le terre emerse. Certo quegli ominidi che vivevano quattro milioni di anni fa in Africa e le loro successive generazioni non sapevano che stavano compiendo, passo dopo passo, degli spostamenti enormi. Essi andavano dovunque ci fosse la possibilità di trovare cibo e acqua; ed infatti si stabilivano prevalentemente lungo i corsi d’acqua e non era raro che ciascuna generazione rimanesse lì nei paraggi senza spostarsi gran che. Ma questi piccoli spostamenti, sommati per l’enorme numero di generazioni, risultavano essere molto consistenti. Se è vero che, per esempio, dal lago Turkana fino ad uno dei siti più antichi di Uomo eretto in Cina,
vi sono quattordici mila chilometri da percorrere, è anche vero che, facendo solo cento metri al giorno, quella distanza si può percorrere in cinquecento anni. E’ certamente un discorso teorico, ma se si tiene conto che tra l’Uomo eretto africano e quello asiatico ci sono ottocento mila anni di differenza, si vede bene come ci sia stato tutto il tempo perché questi spostamenti potessero realizzarsi. Ma perché l’Uomo eretto si sposta? visto che lo fa senza saperlo, senza un preciso scopo, né per andare alla ricerca di nuovi mondi? I suoi viaggi erano semplicemente la somma di piccoli spostamenti legati alla casualità, alla ricerca di cibo e all’inseguimento di branchi di animali che si muovevano a causa di variazioni climatiche. Non solo, ma all’interno di quei gruppi di ominidi che andavano divenendo sempre più numerosi, si potevano generare delle conflittualità, per cui la caccia diventava più difficile e quindi più difficile reperire cibo. Alcuni del gruppo capivano, allora, che era necessario allontanarsi, per trovare posti meno affollati dove la caccia e la ricerca del cibo non fosse ostacolata. Sebbene fosse necessario stare in compagnia per poter meglio sopravvivere, il numero di elementi del gruppo era necessario che fosse limitato in modo che le bocche da sfamare non fossero troppe.
61-Linguaggio
Tutte queste decisioni che gli ominidi erano in grado di prendere durante i loro spostamenti, erano dovute senz’altro al fatto che il loro cervello stava diventando via via sempre più complesso. E’ la prima rudimentale forma di intelligenza, un tantino diversa da quella degli animali, arricchita da quella capacità di essere autonomo dal gruppo e dall’ambiente, se le condizioni lo richiedono. La continua comunicazione di esperienze e la migliore organizzazione del gruppo consentivano all’uomo di prendere delle decisioni corali. In questa fase in cui la lotta per la sopravvivenza mette a dura prova le capacità dei singoli e del gruppo l’uomo non fa altro che utilizzare nella maniera più conveniente, la massa cerebrale, la quale aveva conosciuto un notevole aumento fin da un’epoca remota che va da 700 a 230 milioni di anni fa. Per poter parlare di intelligenza nei termini in cui si è andata sviluppando negli ominidi, non era sufficiente avere una massa cerebrale notevole.
Piuttosto era in gioco una questione di proporzioni tra varie zone del cervello; come è noto, infatti singole aree cerebrali presiedono a specifiche funzioni, ed è logico che lo sviluppo di una determinata zona porterà ad una evoluzione della funzione presieduta da quella zona. Nei nostri ominidi cacciatori, lo sviluppo dell’intelligenza è andato di pari passo con lo sviluppo di quello strato esterno che si chiama corteccia, ed in particolare di quelle zone della corteccia che presiedono alle attività associative.Naturalmente gli esseri con maggiore intelligenza riuscivano a sopravvivere qualche anno in più rispetto agli altri, e ciò voleva dire procreare qualche figlio in più, o proteggere più a lungo la prole; il che significava rendere vincente un carattere genetico. L’uomo, utilizzando il cervello come arma di sopravvivenza, si trovò ad un certo punto a superare un limite oltre il quale l’intelligenza diventava un fattore di selezione, che doveva portare ad un rapido sviluppo delle qualità mentali. Sembra che già 3 o 4 milioni di anni fa, con la nascita del bipedismo, sia iniziato quel processo di riorganizzazione dello strato esterno del cervello e di quelle aree destinate a svilupparsi quantitativamente e qualitativamente. Una trasformazione importante che ha portato poi alla acquisizione di un’altra arma è quella avvenuta a carico delle zone cerebrali sedi della formazione del linguaggio. Lo sviluppo di diverse zone cerebrali in vari stadi evolutivi ha determinato la formazione di un sistema in grado di presiedere la funzione del parlare. Questa funzione comprende diverse fasi che vanno dall’intelligenza all’emotività, dalla capacità di codificare e di trasformare le parole in impulsi motori all’adattamento meccanico della laringe e delle corde vocali, Insomma, così come per arrivare alla stazione eretta è stata necessaria la graduale trasformazione di una serie di parti del corpo, analogamente per arrivare al linguaggio è stata necessaria una graduale trasformazione di una serie di parti del cervello e di taluni sistemi collegati, come appunto l’apparato vocale.
62-Neanderthal
Esiste infatti un’area del cervello, detta area di Broca che coordina i nervi che fanno muovere i muscoli della bocca della lingua della faringe. Questo centro è un po’ come il burattinaio che tira i fili sottostanti, facendo muovere come una marionetta tutto l’apparato vocale che produce i suoni. Un’altra area detta area di Wernicke è responsabile invece della organizzazione delle frasi dei discorsi, le grammatiche e i significati. Quindi da un lato c’è la creazione di idee, di pensieri di strutture di linguaggi, dall’altro la codificazione di queste idee in segnali motori che fanno agire l’apparato vocale. Questo apparato così complesso, ha preso a funzionare in maniera molto graduale, ed è stato un fattore molto importante in quel processo evolutivo che doveva portare gli ominidi cacciatori a diventare esseri dotati di tutte le caratteristiche di un uomo moderno. E’ chiaro che l’utilizzo di un sistema di comunicazione interpersonale come il linguaggio fu una carta vincente per l’evoluzione dell’uomo; carta che in questa fase poteva utilizzare per comunicare, sia pure in maniera embrionale e abbozzata, con gli altri elementi del gruppo durante le battute di caccia. Potersi parlare, capire le intenzioni dell’altro, significava mettere in pratica quelle strategie necessarie per una caccia più proficua. E’ chiaro, pertanto, che quegli uomini che erano maggiormente in grado di utilizzare questa nuova tecnica risultavano vincenti e trasmettevano alla loro discendenza questo carattere genetico vincente. Come già detto, c’era una cosa che l’uomo faceva inconsapevolmente: i suoi spostamenti che, con gli anni e con il passare delle generazioni divennero sempre più consistenti, tanto che, ad un certo punto si trovò a varcare i confini della attuale Africa, per dirigersi, sempre cacciando e adeguandosi agli ambienti in cui si stabiliva, verso nuove ed ancora inesplorate terre. Nel giro di tre milioni di anni, la nostra storia comincia a cambiare scenario. Dopo questo lungo periodo di tempo, infatti, periodo fatto di continue e inconsapevoli migrazioni, cominciamo a vedere i primi uomini in Europa e in Asia. Qui gli ominidi, sotto l’influenza del clima più freddo, andavano assumendo connotati diversi da quelli dei loro progenitori africani.
La pelle diventava più chiara per una minore necessità di difendersi dai raggi del sole che qui erano meno forti. Ormai il nuovo essere aveva colonizzato in un tempo enorme (tre milioni di anni) quasi tutta l’Asia e l’Europa. raggiungendo un livello abbastanza elevato di cultura e organizzazione sociale. Era questo l’Homo sapiens, l’essere più intelligente della terra. Questa trasformazione verso uomini sempre più evoluti avviene contemporaneamente tra 400 mila e 100 mila anni fa in Africa, dove, come vedremo, darà origine all’uomo moderno, e in Europa dove assistiamo all’ascesa, al trionfo e alla scomparsa dell’uomo di Neandertal. Quest’uomo nuovo, abbastanza simile per caratteristiche somatiche all’uomo moderno, e molto lontano da quello scimmione che viveva sugli alberi, possedeva già un notevole volume cerebrale ed era quindi abbastanza evoluto.