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mercoledì 30 dicembre 2015

Dove si parla della scomparsa dei Dinosauri, dello sviluppo della corteccia cerebrale negli esseri che verranno e della prima nota di colore in un mondo fino ad ora in bianco e nero.


40-Alba terribile




Oggi si fantastica su cosa sarebbe successo nel caso in cui i dinosauri non si fossero estinti Ma una cosa è certa, sessantacinque milioni di anni fa, alla fine del Cretacico, dopo 130 milioni di anni di regno sul pianeta terra, i Dinosauri scomparvero quasi all’improvviso dalla faccia del pianeta e con essi scomparve più del cinquanta per cento della flora e della fauna. I paleontologi parlano di una estinzione di massa di grandi proporzioni. Infatti negli strati geologici relativi a quel periodo c’è un grande buco, la mancanza totale di reperti relativi a qualsiasi essere vivente. La vita scomparve a causa  del fatto che, dal punto dell’impatto sulla terra di un grosso meteorite, si sollevò una grossa nube che  oscurò il sole. Per giorni e giorni la terra rimase nella oscurità più assoluta “Fu un’alba terribile, il cielo si aprì, un sibilo assordante lacerò l’atmosfera, poi uno schianto fece sussultare la superficie del pianeta. Le rocce si spezzarono. Lunghissimi crepacci si aprirono inghiottendo viventi e foreste, le cime delle montagne crollarono come per un terremoto milioni di volte più potente di quelli che verranno sperimentati nella storia dall’uomo. Un rombo spaventoso percorse la Terra, l’onda d’urto schiantò i timpani e fece scoppiare i polmoni o le branchie di qualsiasi animale, terrestre o marino si trovasse nel raggio di centinaia di chilometri. Un tsunami, un’onda di marea alta un chilometro, si sollevò sull’oceano e si avventò sulle coste, penetrando nei continenti per centinaia di chilometri, polverizzando tutto ciò che incontrava.” 











Chi descrive con singolare verismo gli avvenimenti che hanno portato, 65 milioni di anni fa, alla estinzione di massa dei dinosauri, è Franco Prattico, giornalista e divulgatore, nel suo “Dal caos... alla coscienza”. Non tutti gli studiosi però sono d’accordo sul fatto che un tale catastrofico evento possa essere stato provocato dalla collisione del pianeta con un asteroide, un fatto è comunque certo: la scomparsa dalla superficie della Terra fu quasi immediata e lo dimostrano gli strati geologici relativi al periodo fine Cretacico in cui scompare all’improvviso ogni reperto relativo ai grossi Sauri. Un reperto che è possibile verificare in tutti i continenti e alla stessa profondità. Questo perché al tempo dei dinosauri le terre emerse erano una unica isola, o quasi. Dopo di essi porzioni di terraferma, sotto la spinta del magma ribollente proveniente dalle profondità marine, si separarono tra loro, portando con sè anche i resti dei dinosauri che rimasero imprigionati sotto i successivi strati geologici. Se le cose fossero andate diversamente, forse oggi ci saremmo trovati ad avere rapporti con i loro discendenti. Per fortuna (per noi) ciò non si è verificato e ci piace ricordare i dinosauri avvolti da quell’alone di mistero e dal fascino dell’avventura. I dinosauri vissero in epoca così remota che la si può immaginare solo con le più straordinarie avventure della mente. Furono così enormi e bizzarri che nulla di simile era mai esistito prima, nè lo sarà dopo. E’ una situazione che ci da, comunque, un senso di sicurezza:  perchè ci piace continuare ad immaginare che tutto ciò che è mostruoso ed enorme appartenga ad un passato lontanissimo e sepolto da millenni di storia.


41-Corteccia




E’ un momento molto importante questo nella storia della evoluzione. Fino ad ora lo sviluppo cerebrale, che pure c’era stato, aveva portato allo sviluppo esclusivo degli istinti, di quella parte primordiale della massa cerebrale, che fa parte anche del nostro cervello, e che presiede agli istinti, alle emozioni, alle reazioni primitive, alle funzioni vitali come respirare, bere, mangiare, agli appetiti sessuali, a tutto ciò, insomma, che ha permesso agli animali di vivere, sopravvivere e riprodursi. Da adesso in poi comincia lo sviluppo graduale di una nuova porzione di cervello che prenderà il nome di corteccia, e che conoscerà il suo culmine, almeno per ora, nel cranio dell’uomo. La corteccia cerebrale, che anatomicamente avvolge il nucleo centrale costituito dal cervello primitivo, avrà la funzione, di guidare gli istinti, di utilizzarli nella maniera più idonea, senza spreco di energie, e incanalandoli nella maniera ritenuta più efficace e favorevole alla economia dell’organismo. Diversi esempi sono stati fatti per descrivere il rapporto che esiste tra queste due porzioni di cervello, due zone che non sono nemiche, ma alleate: ognuna infatti offre qualcosa all’altra. 






L’esempio più calzante è quello che paragona le due zone a cavallo e cavaliere: il cavallo sta sotto e fornisce la potenza, il cavaliere sta sopra e fornisce la conoscenza; insieme possono andare lontano. Può accadere talvolta che il cavallo si imbizzarrisca e disarcioni il cavaliere. Allora gli istinti prevalgono e dirompono. Sta al cavaliere riuscire a dominare il cavallo, reggendosi bene in sella e utilizzando le sue risorse. Esiste una sostanziale differenza nel modo di cacciare tra quei mastodonti con poco cervello e gli animali di taglia più contenuta e, comunque, il più delle volte, più piccola di quella delle loro stesse prede. I primi si gettavano all’assalto della loro preda già sicuri di essere in grado di sopraffarla, la azzannavano in più punti e in pochi minuti la riducevano all’impotenza. I secondi, invece, osservano da lontano le possibili prede, ne studiano le mosse, organizzano un piano d’attacco che potrà essere portato in solitudine o in gruppo. Isolano la preda che potrà essere un individuo giovane e di taglia più piccola degli altri componenti il branco o un individuo malato, ferito e non in grado di seguire il resto del branco, lo afferrano, dopo averlo inseguito, nel punto più vulnerabile e attendono, dopo averlo immobilizzato, che cessi di respirare per iniziare l’opera di smembramento. E’ una serie di operazioni abbastanza complesse che per essere messe in atto necessitano di un freno e soprattutto di una guida di quegli istinti primordiali insiti nel cervello primitivo. Il predatore di taglia media sa benissimo che non potrà mai gettarsi all’attacco, buttandosi a capofitto contro la sua preda, potrebbe finire preda di corna o di zoccoli, in quanto gli erbivori, per quanto stupidi, sanno capire il pericolo e difendersi. Essi devono e sanno attendere le condizioni favorevoli, e spesso sanno anche rinunciare ad un pasto lì pronto a due passi, se le condizioni non sussistono.


42-Un modello



I dinosauri, pur estinguendosi, hanno lasciato una testimonianza della loro esistenza. D’altro canto 170 milioni di anni di dominio sulle terre emerse, non potevano passare inosservati.. E se invece non fosse successo? Se i dinosauri non si fossero estinti e fossero rimasti liberi  di evolversi? E’ stato creato un modello partendo dalle caratteristiche fisiche di un dinosauro del Cretacico bipede e carnivoro, alto un metro e di 40 chili di peso, una cavità cranica con un quoziente di encefalizzazione pari a 0,3 (quindi parecchie volte più intelligente della maggior parte degli altri dinosauri, e intelligente  quanto i più progrediti tra i piccoli mammiferi suoi contemporanei); sembrava avesse il primo dito degli arti superiori perfettamente opponibile agli altri due muniti di artigli, il che avrebbe conferito all’animale notevoli capacità di manipolazione. Sembrava fosse provvisto di tutti gli ingredienti di successo che, in epoca più tarda, si noteranno nello sviluppo delle scimmie antropomorfe. Partendo da un simile modello di dinosauro realmente esistito nel Cretacico si è ipotizzato, ammettendo una tendenza verso cervelli più voluminosi, già manifesta prima che i dinosauri sparissero, che il dinosauroide avrebbe sviluppato, oggi, un quoziente di encefalizzazione di 7,1, che rientra nella gamma dei valori propri degli esseri umani. La faccia invece, sarebbe stata relativamente più piccola; gli occhi grossi e ovali, caratteristici dei dinosauri. Il collo sarebbe stato più corto in quanto sarebbe stato difficile portare un cranio più grosso all’estremità di un collo lungo orizzontale. 







La coda, non essendo più necessaria per controbilanciare il collo, sarebbe scomparsa; la pelle sarebbe munita di squame e gli arti superiori avrebbero sempre tre dita. Sarebbe presente l’ombelico, data la trasformazione da ovipari in vivipari, come i mammiferi, ma non avrebbe i capezzoli, in quanto, a differenza dei mammiferi, nutrirebbe i piccoli con cibo rigurgitato, come fanno gli uccelli. L’assenza di organi sessuali esterni continuerebbe ad essere tipica dei rettili. Il dinosauroide sarebbe oggi un animale vigoroso a sangue caldo, e sarebbe probabilmente vissuto in una comunità di cacciatori, avrebbe probabilmente avuto voce da uccello e forse anche un certo tipo di linguaggio. Il suo livello di intelligenza non sarebbe pari a quella dell’uomo di oggi, ma non si esclude una evoluzione di tale modello verso specie più evolute e intelligenti. Ma oggi ci piace correre con la fantasia dei bambini, dietro lontanissimi mondi lussureggianti di vegetazione rigogliosa e popolati da mostri in perenne lotta tra loro, forse per scaricare il nostro innato bisogno di violenza. Al limite possiamo permettere che questi esseri mostruosi turbino, di tanto in tanto, i nostri sogni, ma senza sconvolgere più di tanto la nostra esistenza. I dinosauri, comunque durante la loro lotte fratricide, non prestarono mai attenzione a tanti esseri, di piccole dimensioni, che pure proliferavano sulla faccia della terra. E sarà proprio grazie a questa fauni piccoli esseri, vissuti fino ad allora nella clandestinità, che, non appena si presenterà l’occasione, l’evoluzione avrà terreno fertile per continuare a fare il suo lavoro, questa volta in tutt’altra direzione.

43-Fiori




La frattura della Pangea e la conseguente  rivoluzione nell’assetto delle terre emerse, che prende forma durante, e subito dopo, il regno dei dinosauri, porterà alla trasformazione del  clima che diventerà più variabile, non troppo caldo nè troppo freddo, ed oscillante a seconda delle stagioni; caratteristico, insomma, di territori dove la crosta terrestre si alterna con grandi masse d’acqua. Zone dove le masse d’acqua sono poco profonde, saranno destinate, con l’aumento della temperatura e la diminuzione delle precipitazioni, a prosciugarsi dando luogo a deserti o a immensi territori dalla rada vegetazione detti savane. Nascono nuove varietà di piante, le foreste non sono più piene soltanto di alberi colonnari, dal fusto verticale: spesso sono piegati, contorti, con rami bassi. E’ una vegetazione molto più simile a quella attuale. Una vera e propria rivoluzione nel mondo vegetale permise, 100 milioni di anni fa, di dare un tocco di colore e di profumo alle zone verdeggianti del pianeta. In questo periodo infatti spuntano le prime varietà di piante munite di fiori. Il primissimo fiore che vide la luce in quelle giornate di 100 milioni di anni fa, fu molto profumato e simile ad una magnolia. 







Esso ruppe finalmente la monotonia dei colori e dei profumi, diffondendo nell’aria gradevoli effluvi diversi da quelli della resina e del muschio. Questo fiore è giunto miracolosamente fino a noi, praticamente intatto: probabilmente un incendio lo ha carbonizzato, conferendogli la durezza necessaria per rimanere integro e seppellito dai sedimenti. La funzione del fiore era quella di attirare, con il colore e con il profumo, gli insetti che si incaricarono di accelerare il processo di riproduzione portando in giro il polline prelevato all’interno del fiore. Grilli, libellule e coleotteri già facevano il loro lavoro. Più tardi anche farfalle ed api. E i dinosauri non erano minimamente turbati dalla presenza dei minuscoli e fastidiosi animaletti volanti. Piuttosto si può dire che essi delegarono il compito di insidiare la sicurezza degli insetti ai loro cugini volanti, gli uccelli. La immane catastrofe che portò alla scomparsa dei dinosauri 65 milioni di anni fa sembrò aver cancellato ogni segno di vita; per centinaia e centinaia di anni non una traccia rimase come testimonianza del recente passato. La vita sembrava scomparsa per sempre dalla faccia della terra; silenzio e desolazione erano ovunque. Ma i vegetali ricrebbero. Era questa ed è tutt’ora questa la grande forza dei vegetali: tornare a crescere, con il tempo, anche là dove morte e distruzione sembrano aver seminato il deserto. Occorreva solo del tempo. e infatti, dopo due milioni di anni le foreste avevano ripreso a vivere, e, con esse i pronipoti di quegli animali che, soprattutto per le loro piccole dimensioni, erano scampati alla immane catastrofe di fine Cretacico: animali di piccola taglia, discendenti di quei particolari rettili denominati Terapsidi.

giovedì 26 novembre 2015


dove si parla del passaggio dalla forza bruta alla intelligenza


35-Forza bruta




I rettili ormai sono in piena espansione. Seguendo il corso dei fiumi, contornati da vegetazione fittissima, hanno abbandonato quelle foreste dal caldo umido e soffocante. La scena ora si è fatta più varia e la zona è piena di vegetazione, corsi d’acqua, torrentelli che scendono a valle; l’aria è più fresca, ma il sole picchia sui sassi disseminati lungo i corsi d’acqua. Il primo rettile giunto in questo ambiente idilliaco  è stato un piccolo animale insettivoro che trovò un insperato banchetto, per di più senza la presenza di predatori. Seguiranno poi  rettili dalla taglia sempre più grande, pacifici lucertoloni erbivori con un corpo massiccio e tondeggiante, lunghi fino a tre metri. Sono grandi mangiatori di vegetali ed hanno un voluminoso apparato digerente. Questi animali sono, in genere, molto grandi, ma, molto vulnerabili. E allora anche per i nostri pacifici rettiloni arriveranno i tempi duri Sono sempre le prede ad attirare i predatori e...a soccombere. Cosa che accadrà ai nostri simpatici animaloni con l’arrivo dei loro simili, anch’essi muniti di vela, ma carnivori. In realtà questi rettili carnivori non è che arrivassero da chissà dove. Sono soltanto un ramo evolutivo diverso dai precedenti, e spinti dal loro vorace appetito, hanno trasformato il loro apparato digerente in modo da divenire carnivori. La bocca è piena di denti aguzzi adatti a strappare a brandelli la carne delle malcapitate vittime, la inghiotte senza masticarla e la sua voracità è forte. 





Le predazioni che questi animali compiono sono delle vere e propri lotte tra titani. Interi alberi scossi da una lotta furibonda tra giganti. Ma ad avere la meglio, alla fine, sarà sempre il carnivoro, anche se di stazza più piccola. L’erbivoro, si dibatterà a lungo, ma poi cadrà a terra con il collo dilaniato dai denti possenti e acuminati del vorace predatore. Una volta che l’appetito del carnivoro è stato placato non c’è più pericolo per gli altri rettili che si crogiolano al sole lì intorno. Questa forza bruta dei carnivori, in grado di atterrare i mastodonti erbivori, fu la naturale conseguenza dello sviluppo degli esseri viventi nel senso della grandezza in grado di rispondere solo ai propri istinti di cui quello della fame è uno dei più importante. La loro scatola cranica conteneva, si, un cervello, ma esso era ancora troppo primitivo. Erano cresciuti troppo nella loro mole, ma il cervello era rimasto a livello di quello della medusa, fatte le dovute differenze di grandezza. In quel periodo la crosta terrestre era ancora riunita in un unico grosso continente, ma cominciavano i suoi primi stravolgimenti grazie alla attività vulcanica interna. Le nuove zone createsi in seguito a questi stravolgimenti della crosta furono in breve colonizzate dai rettili che proseguirono nella loro opera di conquista di territori sempre più vasti. Ben presto si adattarono ai nuovi climi subendo le trasformazioni che l’evoluzione ritenne necessarie, per dare origine ad un ramo molto importante dei rettili: i Terapsidi.




36-Terpsidi




L’importanza dei Terapsidi sta soprattutto nel fatto che da questo ramo si svilupperanno in futuro i mammiferi. Infatti essi cominceranno a subire quelle trasformazioni che li porteranno ad assumere caratteristiche tipiche dei mammiferi: temperatura corporea costante (animali a sangue caldo), peli e pellicce per adattarsi alle zone più fredde, maturazione delle uova all’interno del corpo, cure parentali e latte dalle mammelle per i piccoli.  In questo periodo i Terapsidi occupano grandi spazi nella fascia equatoriale ed anche nei territori a nord e a sud dove il clima è più secco e la temperatura diminuisce. Le forme e l’aspetto che questi animali assumono sono veramente terrificanti e degni dei film dell’orrore. Teste piene di protuberanze, corna, creste, corpi massicci corazzati da piastre e borchie, ma anche alcuni con rivestimenti più lisci e privi di squame. Molti animali, evidentemente vegetariani, vivono in branco per potersi meglio difendere dall’assalto dei predatori carnivori. Anche a sud del pianeta i Terapsidi la fanno da padroni.






 Queste terre sono molto giovani; cento milioni di anni prima esse erano ricoperte di ghiaccio, mentre ora, dopo essersi spostate verso l’equatore, il ghiaccio si è sciolto rendendo disponibile una superficie crescente di terre che la vita non ha tardato ad occupare: prima le piante, poi gli invertebrati, ora i rettili Terapsidi. Anche qui mandrie di animali enormi ed erbivori scorazzano in lungo e in largo, divorano quantità enormi di fogliame, si abbeverano, stando sempre in gruppo, ai laghi e ai corsi d’acqua. Sono animali pacifici, ma, certo, quando sono contrariati e attaccano con la loro mole, sono dei veri e propri carri armati che travolgono ogni cosa. Si pensa combattessero le loro lotte per la dominanza e il possesso del territorio e delle femmine, cozzando le loro teste, dotate di ossa frontali di eccezionale spessore. Se sulla terra, come dentro il mare, il destino era quello di avere animali sempre più grossi, il cielo invece, era stato preso d’assalto da quegli insetti di cui abbiamo già parlato e che, da tempo, non facevano altro che saltare di qua e di là per sfuggire ai predatori, come facevano anche i loro progenitori dentro l’acqua. Essi all’incirca 310 milioni di anni fa  impararono a fare salti sempre più lunghi e inventarono il volo. Rimasero di taglia minuscola, si moltiplicarono all’infinito e continuarono a popolare i cieli e lo spazio aereo tra gli alberi delle foreste. Il loro ronzio diventò tutt’uno con il fruscio degli alberi d’alto fusto. Stavano senz’altro bene lassù al riparo da  tanti pericoli, mentre sulla terra la vita già da tempo era un vero e proprio inferno.


37-Uccelli




Prima che l’era dei dinosauri finisca, avviene un fatto importante che porterà alla nascita di esseri molto particolari. Le prime avvisaglie del fatto che un nuovo e importante ramo evolutivo sta per nascere, ci vengono dagli incontri che è facile fare in zone, a ridosso delle lagune costiere, dove una estesa ragnatela di piccoli corsi d’acqua, crea numerosi isolotti, pieni di verde e di piante, soprattutto bassi cespugli di felci. Qui è facile incontrare un curioso dinosauro le cui dimensioni sono quelle di... una gallina, una versione miniaturizzata degli enormi dinosauri bipedi. Rapido, timido, questo piccolo dinosauro si è adattato a una vita da predatore e opportunista. Ha un becco con i denti, due zampe con gli artigli, il corpo rivestito da piume e abbozzi di ali. Non vola ancora ma è sulla buona strada. In pratica è il terrore degli insetti e dei piccoli vertebrati che vivono all’ombra della vegetazione. Prima planando, poi con una sempre più attiva partecipazione, sbattendo le ali, lentamente il nuovo filone evolutivo trova il modo di mettere in pratica la nuova invenzione. Intuisce che ai vantaggi di poter catturare piccole prede e insetti per altri irraggiungibili, avrebbe sommato i vantaggi di poter sfuggire con facilità al pericolo degli ormai numerosi predatori terrestri. In questa epoca non è difficile vedere strani rettili di piccola taglia e con la forma affusolata solcare i cieli grazie al fatto che hanno sviluppato una membrana lungo gli arti anteriori, tesa a mò di ali. Eseguono più che altro voli planati, catturano pesci sotto il pelo dell’acqua e atterrano pesantemente. Sono timidi tentativi alla ricerca di strutture idonee per spiccare il volo e per mantenerlo a lungo. Dopo questo tentativo di creare una macchina volante, altri ne seguirono e i cieli si fecero sempre più affollati. 




Quello che sembra certo è che questi tentativi siano nati dalla necessità di doversi lanciare dai rami degli alberi, dove, evidentemente, molti rettili antenati, non ancora volanti, avevano preso a vivere. Basta vedere la facilità con cui si arrampicano alcuni rettili di piccola taglia come le lucertole e i serpenti. L’evoluzione di questo nuovo filone di animali volanti ebbe notevole successo in quanto si accaparrava delle nicchie che non erano state occupate da nessuno. Tanto che, prima della fine dell’era successiva, il Cretacico, e cioè 80 milioni di anni fa, quando siamo ancora sotto il dominio degli ultimi feroci dinosauri, nel cielo volteggiavano, numerose specie di uccelli, anche di tipo moderno (gabbiani e altri uccelli costieri). Il Giurassico è finito e con esso l’era dei dinosauri più grandi. Ci inoltriamo quindi nel Cretacico dopo un nuovo progressivo cambiamento climatico che ha finito per modificare le condizioni ambientali causando una nuova crisi di sopravvivenza per animali e piante. Il progressivo inaridimento del clima, ha portato, nei pressi dell’equatore, alla formazione di zone simili alla odierna savana, punteggiata qua e là da isole di fitta vegetazione.




38-Qualcosa di umano




Siamo a circa 125 milioni di anni fa. I drammi che qui si consumano consistono in scene di caccia molto diverse dal solito. savana, inframezzata da isole di fitta vegetazione. Siamo a circa 125 milioni di anni fa. I drammi che qui si consumano consistono in scene di caccia molto diverse dal solito.  Qualcosa deve essere cambiato nel meccanismo evolutivo durante il Cretacico. Innanzi tutto le forme sono meno gigantesche. Pur esistendo ancora dei colossi tra i dinosauri, è chiaro che cominciano a svilupparsi delle tendenze evolutive che puntano in direzioni del tutto nuove, magari verso lo sviluppo di una certa intelligenza. Non a caso, infatti, una strategia di caccia di gruppo (appostamento silenzioso, attacco di sorpresa, assalto fulmineo, diversificazione dei compiti, divisione delle zone da colpire e, infine, rispetto delle gerarchie del gruppo), lascia presumere l’esistenza, a livello individuale, di prestazioni cerebrali di un certo livello. Allora viene il sospetto che, dopo 150 milioni di anni di evoluzione, come esseri dominanti, finalmente qualche dinosauro cominci a mostrare un barlume di intelligenza. E’ possibile ciò? Questi carnivori sono animali bipedi, alti quanto un uomo ed hanno un cervello che, in proporzione, è nettamente più grande di quello di un qualsiasi altro rettile mai esistito. E’ superiore persino a quello dei mammiferi dell’epoca. E’ impressionante vedere con quale agilità e grazia le loro mani prensili a tre dita rigirino sassi e pezzi di tronco scrutando ogni anfratto con i loro occhi capaci di una visione frontale, in cerca di prede da divorare. Sembra che abbiano quasi qualcosa di umano, ma, naturalmente un rettile non è un mammifero, specialmente per quanto riguarda la struttura del cervello.




uno dei primi mammifari



 Il quesito è davvero inquietante e certo nessuno può dare una risposta affermativa, o negativa, anche perchè qualsiasi risposta sarebbe allo stesso tempo giusta e sbagliata non essendo corroborata dal riscontro dei fatti. L’unica cosa su cui dovremmo riflettere è la nostra maledetta e incrollabile  posizione di assoluto antropocentrismo. Siamo troppo convinti, e ci crediamo ciecamente, che tutto sia cominciato per arrivare a noi. Pensiamo di essere al centro dell’universo, e non ci sfiora nemmeno l’idea che la nascita del gradino uomo durante la scala evolutiva, potrebbe non essere altro che una delle tante soluzioni possibili. E’ vero che il mondo e la sua storia non si sono fatti e non si fanno con i “se” e con i “ma”, però è anche vero che, se riuscissimo finalmente a scrollarci di dosso la nostra convinzione di essere “il fine ultimo”, potremmo capire più facilmente, ed accettarne la possibile esistenza, l’eventualità che intelligenze non necessariamente simili alla nostra, avrebbero potuto svilupparsi ad un certo punto del processo evolutivo. Non solo, ma capiremmo che il nostro non è affatto un punto di arrivo, bensì un punto di partenza verso un mondo forse “totalmente intelligente”.


39-Piccola taglia




Dieci milioni di anni sono un periodo di tempo sufficiente per permettere un rapido sviluppo evolutivo delle masse ossee e muscolari, e passare dallo scoiattolo al rinoceronte, ma insufficiente per permettere un aumento di volume del cervello, e quindi della intelligenza. Gli sguardi vuoti di questi animali sono la prova della loro stupidità; certo la loro vita è priva di stimoli, non hanno competizione per il cibo, nè predatori che possano impensierirli e, comunque, indurre comportamenti intelligenti. Corpo massiccio, carattere pacifico, protuberanze sul capo, zampe tozze, acquartierato preferibilmente tra pozze d’acqua e terraferma, il futuro rinoceronte sarà l’animale verso cui convergeranno diverse linee evolutive che si incroceranno e sovrapporranno, permettendo in futuro anche un discreto sviluppo della massa cerebrale. In alcuni punti del pianeta 38 milioni di anni fa, si aggiravano dei bestioni enormi dai quali, col tempo presero origine quegli animali detti ungulati, forniti cioè di zoccoli (cavalli, bufali, maiali, cervi, elefanti) i quali, non sono dei predatori, bensì delle prede. Di lì a poco, infatti cambieranno i rapporti di grandezza tra predatori e prede, grazie all’intervento del tanto atteso nuovo fattore. Fino ad ora ci è sembrato di assistere alla ripetizione di quanto avvenuto in precedenza tra i rettili o tra gli animali acquatici: per onorare il detto “pesce grosso mangia pesce piccolo”, ancora una volta la tendenza evolutiva si dimostra essere quella di creare grossi erbivori, ben pasciuti, a causa della loro voracità e della enorme disponibilità di vegetali, ma anche carnivori predatori ben più grossi, in grado di assalire e divorare, in perfetta solitudine le loro prede. Ma i mammiferi non erano come i rettili, e così la tendenza evolutiva portò gradualmente alla scomparsa dei predatori di grosse dimensioni e alla comparsa di generazioni di predatori che avevano una anatomia più agile  e un cervello più grosso.






 Infatti, 35 milioni di anni fa, comparvero gli antenati dei cani, delle volpi, delle manguste, dei felini, e più tardi delle iene. Stava per cominciare l’era in cui per cacciare non era più necessaria unicamente la forza bruta. In futuro, predatori più piccoli, agili e più intelligenti, si sarebbero trovati a cacciare delle prede che, sebbene più grandi, mai avrebbero raggiunto le dimensioni degli erbivori del passato. Nel caso di caccia ad animali di taglia più grande, questi predatori si sarebbero dedicati soprattutto ad elementi più giovani o malati e quindi più vulnerabili. Già questa capacità di scelta presuppone una certa forma di intelligenza; se si tiene conto, poi, che molti di questi mammiferi presero a vivere e quindi a cacciare in gruppo, si capisce che ciò porterà inevitabilmente a una specializzazione e una divisione dei compiti nell’ambito del gruppo. Ciò sarà reso possibile, evidentemente dallo sviluppo del cervello. L’aumento della massa cerebrale, quindi, dei neuroni capaci di elaborare le informazioni darà la possibilità, al cervello di questi animali, di utilizzare ed elaborare meglio i dati ambientali, cercando di risolvere a favore proprio, e del gruppo nel quale vive, i problemi relativi alla sopravvivenza. 


mercoledì 28 ottobre 2015

 ... nel corso dell'evoluzione,
 certe nuove funzioni non appaiono
improvvisamente, per un colpo
 di bacchetta magica,
 ma sono il frutto di una graduale
 trasformazione
che ha avuto il tempo di
costruirsi, senza un preciso obiettivo,
 ma che, a un certo punto,
può rispondere a una
nuova richiesta ambientale.
 Piero Angela

 

La terraferma si popola...... e si scompone

 

 

 
 
 
 
 
Dove si parla degli adattamenti al nuovo ambiente, dei nuovi esseri e della nascita dell'uovo, nonchè delle trasformazioni della crosta terrestre, e conseguentemente del clima
 
 
 
29-Insetti
 
  
Gli oceani sono diventati ormai molto popolati, la concorrenza è diventata agguerrita, i predatori non danno un attimo di tregua. Fuori di essi la vita sarà una incognita, ma c’è tanta pace, posto e cibo in abbondanza, e, soprattutto poca o nessuna concorrenza. Per quelle forme che, vivendo per molto tempo ai limiti tra acqua e atmosfera, hanno cominciato a pre adattarsi alla nuova situazione, creandosi gli strumenti idonei ad affrontare le nuove difficoltà, vale la pena tentare l’avventura. Coloro che sceglieranno di continuare la propria esistenza cullati dal movimento dell’acqua avranno una loro evoluzione che porterà nel futuro alla nascita di nuovi e più complessi organismi marini: nuovi e più enormi predatori nasceranno e la vita in acqua sarà sempre più difficile. Ma sulla terraferma le cose non andranno diversamente. Sarà diverso il palcoscenico ma la commedia della vita continuerà a dipanare la sua trama secondo un copione che gli attori sembrano aver mandato a memoria prima ancora di nascere. E intanto a popolarsi, fuori dall’acqua, non sarà solo la terraferma, ma anche l’aria.
 
 
 
 
 
 
 
Un tempo sulla terra vivevano libellule grandi come gabbiani. Illustrazione di Ned M. Seidler, National Geographic
 
Nel Carbonifero, infatti, gli insetti, hanno occupato molte nicchie e si sono dimostrati pieni di inventiva nello sfruttare gli spazi a disposizione. Fino a che riescono a compiere il prodigio: vincere la forza di gravità e a sollevarsi da terra, riuscendo a spostarsi nell’aria, cioè volando. La conquista dell’aria è un evento importante nella storia della evoluzione ed in futuro un gran numero di specie svilupperà in modo indipendente la capacità di volare, ma su come sia stato possibile inventare il volo se ne sa ancora molto poco. In questo periodo un gran numero di insetti adopera strutture esistenti da quando gli antenati vivevano ancora in acqua e cadute in disuso (branchie) per tentare l’avventura del volo, dapprima con balzi, poi con veri e propri trasferimenti in aria da un posto a un altro. Questo, evidentemente, per sfuggire ai grossi predatori, loro piccole creature, ma succulenti bocconcini per ragni e scorpioni. Esserini volanti di tutte le forme di tutte le fogge hanno preso a popolare, pertanto, i cieli sopra le foreste che enormi si estendevano in questo periodo, e gli unici rumori che turbavano gli sterminati silenzi di 310 milioni di anni fa erano il fruscio del fogliame mosso dal vento e il ronzio degli insetti volanti, prima tra tutti la libellula, con un’apertura alare di ben 70 centimetri, ma capace di volteggiare in aria con rara maestria.
 
 
30-Novità
 
 
Siamo ormai alla fine del Devoniano, è passato un solo milione di anni dal momento in cui il primo essere avanzò goffamente con le zampe sulla terraferma, Per tutti questi anni è rimasto signore incontrastato di questi luoghi fatti di pozze d’acqua con bassi fondali, pieni di cibo e lontano dai grandi predatori che qui non potevano giungere. Si serviva delle zampe per trasferirsi da una pozza all’altra, certamente non lo potevano impensierire ragni e insetti che ormai  si trovavano dappertutto, e si facevano la guerra tra loro. L’ambiente esterno è molto cambiato da quando i primi muschi lottavano per conquistare la terraferma; ora ci sono equiseti, felci di dimensioni impressionanti e grandi alberi, alcuni con la corteccia a squame. Questa fitta vegetazione fa da corona a vaste aree paludose, lagune e specchi d’acqua; l’aria è calda, umida e pesante, quasi afosa; le acque sono tiepide, con poco ossigeno e poco adatte alla vita dei pesci, che, infatti, sono ritornati in mare aperto. I nuovi esseri ora posseggono piccole ma importanti variazioni che permettono loro di adattarsi meglio all’ambiente. Le zampe sono sempre adatte al nuoto, ma all’interno presentano una struttura fatta di ossa e articolazioni; la colonna vertebrale è più robusta e massiccia, in grado di sorreggere il corpo sulla terraferma; i denti hanno una struttura che li avvicina a quelli degli anfibi, pur continuando ad essere soprattutto pescivori
 
 
 
 
Ichtyostega uno dei primi esseri viventi passato dall'acqua alla terraferma
 
 
. Gli occhi si stanno adattando a contatto con l’aria; si stanno infatti creando delle protezioni tramite le ghiandole lacrimali che inumidiscono, e le palpebre che puliscono. L’udito è diventato più adatto all’aria e si è fornito di un sistema per  amplificare i suoni. Per la prima volta appare ben definita la lingua, che diventerà l’organo del gusto per eccellenza. La pelle non è più a scaglie, ma ha un’epidermide flessibile e adatta a trattenere l’umidità, grazie a uno strato di muco. I polmoni funzionano sempre meglio ma la pelle resterà per tutti gli anfibi importantissima per la respirazione. la testa è coperta di robuste placche e tutto l’insieme ci fa già intravedere la struttura degli animali che potremo incontrare in questi luoghi fra qualche milione di anni. Intanto sulla terraferma le cose  hanno proseguito il loro corso: vermi, millepiedi, ragni, scorpioni e insetti di vario genere hanno invaso la terra e soprattutto le zone piene di vegetazione. Anche qui la guerra per la sopravvivenza è continuata spietata tra predatori e prede; millepiedi giganti si sono formati per meglio difendersi dagli attacchi degli scorpioni e, comunque, tutto questo mondo fatto di piccoli animali, ha avuto a disposizione un tempo lunghissimo per evolversi, senza la ingombrante presenza dei vertebrati.
 
 
 
 
31-Anfibi

 
La terraferma continua a popolarsi di esseri dalle fogge più strane. Tutti esseri che stanno modificando il loro sistema respiratorio passando dalle branchie ai polmoni; stanno costruendosi una impalcatura ossea sempre più resistente; si stanno munendo di uno strato esterno resistente al calore del sole; si stanno munendo di mascelle robuste perché fra non molto, qui fuori, ci sarà da mangiare abbastanza; si stanno munendo di zampe sempre più efficienti. Gli animaletti che colonizzeranno per primi la terraferma però, sempre restando nei limiti dei corsi d’acqua, furono i progenitori degli anfibi. Mancano 280 milioni di anni ai giorni nostri e queste foreste cominciano a popolarsi di strani animali che qui, sotto gli alberi, trovano cibo a volontà. Sono gli anfibi che hanno il loro habitat naturale in zone paludose e acquitrinose. Non si tratta solo di quelle forme che siamo abituati a vedere oggi (rane, rospi, salamandre, tritoni) sono soprattutto esseri di dimensioni ragguardevoli. Essi trovano negli insetti e negli altri animaletti che già da tempo abitano questi luoghi, dei bocconcini troppo piccoli, per cui si nutrono degli anfibi più piccoli, i quali a loro volta si nutrono di insetti e altri piccoli invertebrati. Ci sono anche grandi anfibi che adottano soluzioni diverse per vivere. C’è quello con grandi creste ossee, quello senza zampe che striscia come un serpente, quello simile a un pesce, quello con grandi placche difensive sul dorso, quello con il capo di forma triangolare, quello di due metri, un bestione dal corpo tozzo simile a un coccodrillo, le fauci piene di denti aguzzi.

 
 

 
Gli anfibi

 
 La loro mole è notevole e c’è tra loro chi si nutre anche di piccoli squali. La tecnica è quella che  adotteranno i coccodrilli in futuro. Se ne sta immobile sul fondale fangoso, sott’acqua; appena passa la preda ignara, si lancia fulmineo verso di essa con la bocca spalancata, sollevando enormi colonne di fango e rendendo torbida l’acqua tutt’intorno. I fondali bassi e paludosi sono diventati ormai il regno di questi anfibi la cui forma, mole e tecnica di caccia lascia presagire quali saranno i futuri abitanti del pianeta. Essi non si limiteranno a popolare le zone paludose, ma diventeranno per oltre 200 milioni di anni i dominatori delle terre, delle acque e dei cieli: i rettili. In effetti gli anfibi avevano  una struttura che li poteva far confondere con dei rettili, ma essi avevano ancora bisogno, per la respirazione, di aiutare i polmoni tramite la respirazione supplementare attraverso la pelle. Ma, quello che è più importante: la loro riproduzione avviene in acqua. Infatti essi al momento della riproduzione si comportano come dei pesci: tornano in acqua e depongono le uova dalle quali nasce una prole dotata di branchie che vivrà, fino ad un certo punto, nell’acqua. Una volta sparite  le branchie ed entrato in funzione l’apparato polmonare, il giovane anfibio si avventura sulla terraferma. In sostanza un grosso limite alla loro libertà di movimento. Essi infatti non si possono allontanare dalle zone d’acqua dalle quali dipendono sia per la riproduzione, che per la respirazione.
 
 
32-Uovo

 
Gli anfibi hanno ancora bisogno dell’acqua, per la respirazione. Nel tentativo di divenire totalmente indipendenti dall’acqua, ben presto adotteranno la soluzione più importante ovvero la deposizione delle uova. E’ possibile, infatti, che qualche antico anfibio abbia cominciato a depositare le uova in posti meno accessibili ai predatori, e la terraferma di allora, in questo senso, era più sicura. Man mano che quest’uovo si spostava verso la terraferma, cambiavano le sue caratteristiche. Il fine ultimo era quello di creare un uovo in cui fossero riprodotte le  condizioni dell’habitat acquoso dove, fino ad allora, avevano vissuto gli animali durante la prima fase della loro vita. In questo modo essi avrebbero continuato a svilupparsi in una cabina dotata di tutti i comfort all’interno, anche se depositato in ambiente ostile. Questa ennesima invenzione prende il nome di uovo amniotico. In questa maniera l’embrione non deve andare incontro a particolari trasformazioni; esso continuerà a svilupparsi in un ambiente liquido come prima. E in questo ambiente continueranno a svolgersi tutte le fasi del tradizionale sviluppo acquatico dal girino all’anfibio maturo.

 

 

 


 

 

L'uovo amniotico

 

 Con la formazione dell’uovo, quindi l’embrione si sviluppa all’interno di questo guscio ed esce solo quando ha completato il suo sviluppo. Le prime uova risalgono a 300 milioni di anni fa, e, certo, i primi tempi furono molto duri; non fu facile far affermare una trasformazione così rivoluzionaria, ma alla lunga la selezione naturale alla base della evoluzione dette ragione ad una soluzione che permetteva agli animali di vivere in qualsiasi ambiente senza dover dipendere dall’acqua. Il primo animale che avrà le strutture di sostegno come i grandi anfibi, come loro respirerà con i polmoni e  deporrà le proprie uova sulla terra, invece che nell’acqua, è un lucertolone di venti centimetri rettile a tutti gli effetti. Compare sul pianeta 300 milioni di anni fa e la sua discendenza vivrà parallelamente alla popolazione anfibia che, poi, verrà  decimata consentendo solo la sopravvivenza dei piccoli anfibi. Il passaggio graduale tra queste due forme (anfibio-rettile) avvenne pertanto nel tentativo di divenire totalmente indipendenti dall’acqua, anche per la riproduzione, ovvero la deposizione delle uova. Una volta uscita e diventata indipendente dall’acqua, la vita troverà un nuovo importantissimo fattore di condizionamento nei cambiamenti climatici. Le variazioni di teemperatura e di umidità, i cicli stagionali, l’influenza dei ghiacciai, della piovosità, dei venti, della siccità, la diversità climatica tra le coste e l’interno, tra le pianure e gli altipiani, costutiscono una novità, rispetto alla vita in acqua con la quale i nuovi esseri che nasceranno dovranno fare i conti. Una realtà che influenzerà non poco l’evoluzione futura determinando trasformazioni, traumi, diversificazioni, nuovi sviluppi, estinzioni.

 

33-Rettili

 

Il salto di qualità avvenne  270 milioni di anni fa quando sulla terra comparvero i primi rettili, animali dal corpo massiccio e tondeggiante lunghi fino a tre metri. Non siamo più nelle foreste equatoriali dal caldo umido e soffocante. Siamo in luoghi per lo più distanti dalla fascia equatoriale dove non fa più tanto caldo, lungo torrentelli e fiumiciattoli contornati da una vegetazione fittissima. Sui sassi all’aperto, però, il sole picchia. Quello che era il regno di insetti, ragni e millepiedi si preparava ad accogliere i nuovi abitanti della crosta terrestre. Essi erano per lo più erbivori e di cibo ne avevano in abbondanza. Animali a sangue freddo che avevano bisogno del sole per aumentare la loro temperatura interna,  nel senso che il loro metabolismo, e quindi anche la loro efficienza, dipendeva dal calore esterno che essi riuscivano ad incamerare; per questo se ne stavano, come oggi fanno ancora le lucertole, per lungo tempo immobili sotto il sole a picco. Essi avevano anche adottato delle soluzioni capaci di aumentare la loro capacità di incamerare calore. La pelle ormai secca e resistente, non serviva più come aiuto per la respirazione. Come negli anfibi, la respirazione è totalmente polmonare; e allora vediamo che alcuni di questi primi rettili hanno allargato molto il corpo, una enorme schiena utile per raccogliere quanto più calore possibile dal sole per aiutare il metabolismo interno. Altri rettili invece hanno sviluppato una curiosa vela sul dorso, una sorta di immenso ventaglio di pelle tesa da una serie di bacchette ossee. Una fitta rete di vasi sanguigni sotto la pelle assorbiva il calore che poi trasmetteva a tutto il corpo. Un vero e proprio pannello solare che costituirà una innovazione vincente e sarà adottata da diversi animali di quel tempo, in quanto era in grado di migliorare notevolmente le loro prestazioni fisiche. Ma oltre a ciò la cosa più importante è che questi rettili presero ad aumentare la superficie corporea a contatto col sole, di conseguenza assumevano una mole sempre più enorme. Rettili dallo stomaco enorme che divoravano quantità indescrivibili di foglie e piante. E diventano sempre più grossi e dall’aspetto sempre più terrificante, corpi massicci e corazzati da piastre e borchie, teste piene di protuberanze corna e creste. Sono sistemi di difesa utili per combattere tra loro per il possesso del territorio e per difendersi dai rettili carnivori che scorazzano da queste parti. Si stanno aprendo gli scenari in cui i dinosauri la faranno da padroni. Rettili sempre più grandi, sia erbivori che carnivori che divennero in breve padroni della crosta terrestre allora denominata  Pangea, una unica crosta solcata da fiumi, con laghi, mari e lagune interne, e ricoperta da fittissima vegetazione. Il dominio di questi lucertoloni che arrivarono a dimensioni inimmaginabili (addirittura alcuni erbivori avevano la stazza di un camion col rimorchio), durò  fino a sessantatre milioni di anni fa, con gli erbivori a divorare grosse quantità di fogliame, e i carnivori a sbranare  gli erbivori in una caccia cruenta ed ispirata dalla sola forza.

 
 
 
 
34-Permiano
 
 
Man mano che si procede nella era geologica detta Permiano, avvengono grossi ed importanti stravolgimenti della crosta terrestre che avranno il loro culmine circa a metà del Permiano (260 milioni di anni fa) e che porteranno a profonde modificazioni del clima. le terre emerse che, fino ad allora erano grosso modo divise in due grosse parti, vanno gradualmente unendosi per dare luogo alla Pangea, un unico grande continente che sarà lo scenario dei futuri eventi. Ma, quello che è più importante è che le terre situate  nell’emisfero sud, stanno risalendo pian piano verso i tropici con la conseguenza di un notevole riscaldamento e scioglimento dei ghiacciai. La fascia equatoriale non è più quel paradiso caldo e umido, ma diviene teatro di una instabilità crescente: a periodi umidi si alterneranno periodi secchi, ma sempre con una temperatura elevata. Se dentro gli oceani non ci sono grossi problemi, così non è fuori dell’acqua, per quegli esseri che hanno già popolato le terre emerse: i rettili rimasti nelle zone equatoriali, ma soprattutto gli anfibi che, bisognosi in continuazione di acqua, si trovano spiazzati nel dover affrontare i periodi di siccità.
 
 
 
 
 
 
 
La Terra nel Devoniano
 
Sono passati 20 milioni di anni da quando, all’inizio del Permiano la fascia equatoriale era piena di anfibi perfettamente adattati e rettili.. Ci sono dappertutto paludi, laghi, stagni, lagune, grandi e piccoli corsi d’acqua costellati di fitta e rigogliosa vegetazione. Ora tutto è cambiato completamente, siamo in piena stagione arida e la siccità ha devastato l’ambiente. L’acqua si è prosciugata quasi ovunque e per gli anfibi questo è stato un dramma; i fondali sono secchi e la terra è piena di crepe. Qua e là carcasse di animali in putrefazione giacciono sui fondali e nugoli di insetti appestano l’aria. Il sole a picco è implacabile e continua a far evaporare la poca acqua rimasta; non una nuvola in cielo per gettare un poco d’ombra, non una goccia d’acqua per portare un poco di refrigerio. Di fronte a crisi di così vaste proporzioni e cambiamenti ambientali così profondi, le risposte in natura solitamente sono di tre tipi: l’adattamento, la migrazione, l’estinzione. Gli anfibi, infatti, in questa seconda metà del Permiano, reagirono alla nuova situazione in maniera  diversa: alcuni si estinsero, altri sopravvissero dopo severe decimazioni, altri si adattarono, altri ancora migrarono. Per i rettili invece le cose non furono così drammatiche, certo molti morirono, ma la totale indipendenza dall’acqua permise loro di sviluppare nuovi adattamenti anche in climi più aridi. Ci furono poi, per loro, nuove possibilità di migrazioni in territori vergini favorite dagli spostamenti verso nord della crosta terrestre. Le nuove zone createsi in seguito a questi stravolgimenti della crosta furono in breve colonizzate dai rettili che proseguirono nella loro opera di conquista del pianeta; ben presto si adattarono ai nuovi climi subendo le trasformazioni che l’evoluzione ritenne necessarie, per dare origine a diversi rami che avranno diverso destino.
 
 
 
 

giovedì 10 settembre 2015


Chi mai avrebbe potuto
immaginare che dei piccoli pesci corazzati
 del tutto privi di eleganza, sarebbero sopravvissuti
 per generare animali che avrebbero
camminato sulla terraferma, e un giorno,
 una volta acquisita la forma umana,
avrebbero imparato a parlare e ragionare,
mentre tutte quelle specie di trilobiti
sarebbero andati strisciando verso la loro fine
prima che sorgesse l'alba del Siluriano?

 
Richard Fortey

 

La conquista della terraferma

 
 
 
 
 

Una grossa novità

 
 
 
Dove si parla della vita diventata ormai difficile negli oceani, e della lotta per conquistare la terraferma, dei preparativi per accogliere gli animali e della esplosione dei vegetali su di essa.
 
 
 
 
21-Vita difficile
 
 
 
 

Grazie alla divisione dei compiti e alla formazione di veri e propri tessuti ed organi, ognuno dei quali aveva la propria specializzazione, e grazie anche alla possibilità di scelta tra le numerose forme messe in opera dal processo evolutivo, in breve apparvero, nei mari di allora, esseri viventi sempre più grandi e ormai visibili ad occhio nudo, e la vita si faceva sempre più dura e difficile. Mentre avvenivano queste cose anche la superficie della terra cambiava. non parliamo più di mare, ma di mari o di oceani. L’acqua che colmava l’unica grande depressione si andò dividendo in tante depressioni più piccole. Era successo che la crosta, sotto la spinta del magma ribollente proveniente dalle viscere della terra, si era fratturata in più punti e le porzioni di crosta avevano cominciato ad allontanarsi tra loro, mentre l’acqua si insinuava tra le fratture che si allargavano sempre più. Un lentissimo processo che ancora non ha fine e dal quale risulta l’attuale assetto delle terre emerse. Ormai la vita in questi mari grazie a questi esseri di tutte le fogge e di tutte le grandezze, non era più una novità ed era diventata una routine quotidiana. Nasce l’assunto per cui pesce grosso mangia pesce piccolo, e, visto il proliferare di questi esseri marini, non era difficile per tutti saziare i propri appetiti. La cosa naturalmente era alla base del processo necessario per vivere. e per tanto tempo si andò avanti in questa maniera, mentre le dimensioni di alcuni esseri crescevano a dismisura. e il cibo non mancava. E’ chiaro che l’evoluzione di quei primitivi animali pluricellulari sarà avvenuta verso diverse direzioni, mettendo in atto tentativi di creare esseri efficienti, con risultati più o meno riusciti. Ma quelle che durante il Cambriano popolano i mari, sono delle macchine perfette, molto fantasiose nelle forme, ricche di invenzioni biologiche, capaci di affrontare le sfide in un ambiente sempre più competitivo.




 Nei mari di quel periodo la vita si era fatta dura, anche in un altro senso. Per i più piccoli, infatti, non era difficile finire nelle fauci dei più grandi. Poteva sperare di farla franca solo chi era riuscito a mettere in atto sistemi di difesa validi. C’era chi si nascondeva nei fondali, che si mimetizzava tra le alghe, chi aveva degli aculei, che delle corazze. Ma la soluzione migliore, per qualche tempo, sarebbe stata quella di uscire dall’acqua. A quel tempo nessuno lo sapeva ma gli eventi stavano lavorando perché questo avvenisse. L’ambiente al di fuori dell’acqua, infatti, si stava trasformando e si stavano creando le condizioni per accogliere la vita. Le rime di frattura della crosta terrestre ovviamente erano frastagliate e l’acqua si era insinuata tra di esse formando delle lagune e delle coste piene di insenature, fiordi e bassi fondali dove l’acqua ristagnava ed era appena mossa dallo sciabordio determinato dalle correnti. Ormai l’atmosfera conteneva il venti per cento di ossigeno, proprio come oggi, e le condizioni erano giuste per ricevere i primi esseri viventi. Ma i primi a spostarsi sulla terraferma non furono gli animali che, abituati come erano a consumare ossigeno, se lo sarebbero finito in quattro e quattro otto. Ci pensarono le piante a preparare il campo.
 
 
 
 
 
22-Un tram affollato
 
 
 
 
 

Anche ora, attraverso il meccanismo della riproduzione, guidato dalle informazioni scritte sul patrimonio genetico degli organismi, vengono prodotte innumerevoli variazioni sul tema; organismi sempre più strani compaiono sulla scena, vengono adottate le soluzioni più diverse che si pongono al vaglio della selezione operata dall’ambiente. Poichè, come abbiamo visto, i mari del Cambriano sono diventati qualcosa di simile ad un tram affollato nell’ora di punta, e poichè fuori dell’acqua non si sta più tanto male, è chiaro che qualche essere vivente faccia capolino in questo nuovo ambiente.







Ma, come detto, le condizioni qui fuori sono del tutto diverse da quelle cui questi organismi sono abituati, per cui la maggior parte sarà destinata a finire i propri giorni immersa nei mari, dove, oltretutto c’è cibo a sufficienza. Solo alcuni esseri che, nella infinita varietà di forme e soluzioni adottate per sopravvivere, avranno acquisito delle soluzioni adatte per soggiornare sulla terraferma, riusciranno a fare delle puntate fuori dall’acqua che, gradualmente, si protrarranno per periodi sempre maggiori. I primi tempi, infatti saranno esseri in grado di vivere sia nell’acqua che nell’aria: man mano nasceranno forme che saranno in grado di trarre vantaggio da questo nuovo ambiente. Le forme viventi dotate di protezioni varie, intanto, verificarono sulla propria pelle che la soluzione delle corazze, gusci e conchiglie, entro i quali passare le proprie giornate, era in effetti una buona cosa. Se ne stavano lì al sicuro dentro la propria casetta sul fondo melmoso del mare o attaccati agli scogli. sporgendosi di tanto in tanto per afferrare del materiale  organico da mangiare. Fuori l’ambiente era diventato molto pericoloso, specialmente per esseri teneri e fragili, oltre che saporiti. Certo qualche predatore aveva imparato ad afferrare quella succulenta preda divorando il contenuto ed espellendo l’indigesto guscio. Si trattava comunque di poca cosa rispetto alla sovrabbondanza di esseri che andavano adottando questa soluzione. Inoltre la tecnica di rendere la vita più dura porta, come già detto, anche alla specializzazione di alcune cellule a formare strutture di sostegno e impalcature ossee, a cominciare da un abbozzo di colonna vertebrale che alcuni organismi marini, detti appunto cordati, possiedono. Ciò sarà molto utile in futuro quando si affacceranno fuori dall’acqua sulla terraferma. Gli indubbi vantaggi rappresentati da questi nuovi tessuti più duri e consistenti, incoraggiarono a proseguire su questa strada, alla ricerca di materiali che, avendo le stesse funzioni, fossero più leggeri che non le ingombranti corazze e da portare con più disinvoltura. Si formarono pertanto strutture meno rigide e pesanti, più flessibili e leggere, e allo stesso tempo resistenti. Un pò la differenza che passa tra il ferro e l’alluminio. Una soluzione che avrà successo, anche nella prospettiva del futuro sbarco sarà quella consistente in un organismo formato dalla ripetizione di segmenti tutti uguali; una struttura cosiddetta metamerica.
 
 
 
 
 
23-Forza di gravità
 
 
 
 
 
 
 
Nei mari del Cambiano intanto comincia a formarsi un primitivo abbozzo del futuro cervello. A livello della testa, comincia a prendere forma un primo abbozzo di organizzazione cerebrale. Nella testa infatti si formano i primi gangli, semplici matasse di cellule nervose, il cui sviluppo porterà alla graduale formazione di un organo in grado, non di produrre cibo, nè di digerirlo, nè di depurarlo, bensì di produrre comportamenti. Questi comportamenti non saranno più solo una risposta istintiva agli stimoli esterni ma, via via che si salirà nella scala evolutiva, diverranno frutto di qualcosa di più complesso che culminerà con la super complessità dell’uomo. Comunque anche i comportamenti, come tutte le altre funzioni dell’organismo, saranno finalizzati al bene collettivo, inteso dapprima come collettività di cellule che operano insieme nello stesso organismo, e poi come collettività di organismi che vivono insieme in colonie più o meno numerose per meglio affrontare i pericoli disseminati nell’ambiente. In sostanza ogni cellula, all’interno dell’organismo di cui fa parte, ha finito per sviluppare una sua personalità decidendo quale dovesse essere il suo compito, in base alla posizione che si trovava ad avere nell’organismo. Quello che ora le forme viventi devono affrontare è però un importante e decisivo passo che avrà l’effetto di una vera e propria rivoluzione nella storia della vita.





E’ arrivato cioè il momento per gli strani e variopinti esseri dei mari del Cambriano di uscire dall’acqua e avventurarsi sulla terraferma. Ma non è una avventura da poco: siamo intorno ai 500 milioni di anni fa, l’atmosfera è ormai pronta per accogliere i nuovi ospiti; ad alta quota si è ormai formato lo strato di ozono necessario per proteggere gli esseri viventi dalle radiazioni ultraviolette del Sole; nei mari si mettono a punto, anche se inconsapevolmente, delle strutture che si riveleranno idonee allo sbarco. Infatti passare dall’acqua alla terraferma significa sbarcare su un altro pianeta: cambia l’ambiente che da acqua diventa aria, cambia, almeno in apparenza, la forza di gravità, che all’aria sembra essere  più  forte. Basta l’esempio della medusa per capire in cosa consiste la differenza tra vivere nell’acqua e vivere nell’aria: la medusa infatti, così leggiadra e mobile nell’acqua, sulla terraferma si affloscia al suolo, irrimediabilmente. Per uscire dall’acqua e muoversi con successo, correre, saltare, volare, occorrono dei sostegni capaci di far fronte ad un grande cambiamento di gravità. Ed infatti nei mari del Cambriano sono da tempo in costruzione macchine capaci di affrontare questo storico evento. Tutto ciò avviene inconsapevolmente; non che gli esseri viventi marini di quel periodo sapessero che di lì a poco sarebbe toccato in sorte a qualcuno di loro il premio di una vacanza sulla terra ferma. Semplicemente le cose continuano ad evolversi così come è sempre stato, cercando sempre nuove soluzioni.
 
 
 
 

24-Il terzo gode
 
 
 
 
 
 
Con la forma metamerica,  consistente in metameri o segmenti che si ripetono in sequenza dal capo alla coda, i tessuti esterni più duri, ma flessibili e leggeri, lasciano intravedere la conformazione metamerica dell’interno. Insomma pensiamo un poco ai gamberi o alle mazzancolle che ci possono servire in un ristorante in un arrosto di pesce. Altra soluzione che si rivelerà utile, sempre ai fini del futuro sbarco, sarà il dotarsi di piccole zampette che saranno la naturale evoluzione di appendici dapprima utili per  nuotare muovendole in maniera sincrona, e poi per camminare sul fondo del mare. Si tratterà, all’inizio, di zampette corte e tozze, ma davvero utilissime per muoversi sulla terraferma. Riassumiamo pertanto le caratteristiche che gli animaletti marini, in procinto di fare il grande salto non appena se ne presenterà l’occasione. Essi dovranno avere, e questo permetterà loro di superare il primo ed importante esame, una corda rigida che vada dalla testa alla coda e che funga da impalcatura di sostegno, per evitare che il corpo molle si afflosci sotto il peso della forza di gravità; un rivestimento più duro ma flessibile e leggero che protegga l’interno più morbido e delicato, ma che non appesantisca l’insieme; una composizione metamerica che  permetta all’animaletto di procedere agevolmente anche in curva o sulle asperità del terreno ( un treno che,  invece di essere composto da tanti vagoni uniti da snodi, fosse tutto intero, non potrebbe affrontare delle curve); una dotazione di zampette che non costringa questi animaletti a dover strisciare sulla terra ferma (cosa che i serpenti fanno egregiamente, ma che proprio per questo sono rimasti serpenti). Naturalmente queste caratteristiche facevano parte di trasformazioni che avvenivano nell’ambito di un processo evolutivo che rispondesse alla necessità di creare sempre nuovi esseri in grado di adattarsi all’ambiente.







E’ chiaro che, nel momento in cui cambierà l’ambiente, anche il processo evolutivo prenderà strade diverse. Ma saranno quegli esseri che sommeranno in sè tutte le caratteristiche elencate ad avere successo durante le loro escursioni via via sempre più lunghe nel nuovo ed inesplorato mondo. Due sono le strade che imboccherà l’evoluzione, adattabili in eguale misura al nuovo ambiente: quella dei vertebrati, cioè con l’abbozzo di colonna vertebrale,  e quella degli invertebrati, senza colonna ma dotati di tutte le altre caratteristiche e di cui fanno parte vermi, millepiedi scorpioni e in genere tutti i facenti parte del gruppo degli artropodi. Ma saranno i vertebrati o gli invertebrati ad arrivare primi in questa inconsapevole ma inesorabile corsa verso la terraferma? La risposta a questo quesito esistenziale è data dal vecchio adagio che dice “Tra i due litiganti il terzo gode”. Quando infatti 400 milioni di anni fa, ancora in pieno Cambriano, i primi timidi esseri viventi si affacciarono fuori dall’acqua in grado di vivere nel nuovo ambiente, già la terra ferma aveva cominciato ad essere colonizzata dalle piante.
 
 
 
 
 

25-Clorofilla
 
 
 
 
 
 
 
Le piante non son altro che i lontani discendenti di quei microrganismi che avevano imboccato la linea evolutiva dei vegetali. Infatti quelle cellule che avevano adottato per vivere il sistema della fotosintesi clorofilliana si sono evolute  sfruttando la luce solare che penetrava nell’acqua dei mari fino ad una certa profondità. Questa luce penetrava nelle cellule e andava a colpire il pigmento della clorofilla, dando luogo ad una reazione in grado di sviluppare l’energia necessaria alle cellule stesse per i suoi processi metabolici. I rifiuti generati da questi processi metabolici consistevano  in molecole di ossigeno. Nel corso dei millenni l’evoluzione di questo tipo di cellule in organismi pluricellulari (per lo più alghe marine che riempirono letteralmente gli oceani), saturarono gli oceani stessi di ossigeno e lo stesso fecero con l’atmosfera, fino a creare le condizioni adatte ad accogliere l’arrivo degli esseri viventi. Ma sarebbe stato ingiusto se, dopo tutto quel lavoro, i vegetali avessero permesso agli animali di scavalcarli nella corsa alla conquista del nuovo mondo. Le cellule primordiali dell’altro tipo, quelle che ebbero un processo evolutivo diverso e vissero alle spalle delle prime, sfruttando, cioè i loro scarti metabolici, diedero origine  ad esseri di cui abbiamo sommariamente descritto alcuni esemplari. Tutti esseri che hanno imparato a sfruttare l’ossigeno prodotto in grande quantità  dalle alghe  e i cui futuri discendenti continueranno a fare altrettanto. Era giusto pertanto che essi cedessero il passo ai vegetali  nel compiere il grande balzo dall’acqua alla terraferma. Anche perchè, è vero che l’atmosfera era satura di ossigeno, è vero che già 500 milioni di anni fa la fascia di ozono si era consolidata e bloccava già in maniera efficace le radiazioni ultraviolette, è vero che nulla più avrebbe ostacolato lo sbarco di esseri viventi e la loro sopravvivenza, ma è anche vero che era necessario che il processo di produzione dell’ossigeno continuasse per permettere alla vita futura di proseguire per la sua strada. Un ambiente con solo animali alla lunga si sarebbe impoverito di ossigeno; la necessità di un equilibrio tra consumatori e produttori di tale prezioso elemento, ha fatto si che i vegetali fossero i primi ad invadere le terre emerse.






 Le alghe, lontane discendenti di quei microrganismi che avevano imboccato la linea evolutiva dei vegetali, hanno avuto una evoluzione parallela a quella degli animali. Vere e proprie costruzioni pluricellulari esse sono di varietà diversissime  e consistono in  foglie sottili simili a nastri che hanno la funzione di veri e propri pannelli solari. A causa della conformazione stessa di queste pseudo foglie, le alghe sono strutturate in modo da poter vivere solo in ambiente acquatico. Con quei nastri ondeggianti nell’acqua, mai avrebbero potuto adattarsi nella atmosfera. E’ probabile quindi che il  passaggio sulla terraferma di questa linea evolutiva sia avvenuto molti millenni prima, quando esse, le alghe, erano ancora dei microscopici esseri unicellulari.



Arrivederci alla sesta puntata nel mese di ottobre